La
nota più curiosa è in appendice alla sua colta disgressione Sulla boxe dove Joyce Carol Oates afferma che “il sentimento
amoroso è probabilmente l’essenza di ciò per cui io scrivo”. Si tratta di una
“emozione eterna e insondabile” che ha ben poco da condividere con la boxe, ma
Joyce Carol Oates ha il privilegio di tutti i grandi scrittori, che sono capaci
di scrivere di qualsiasi cosa come se fosse una loro creazione. La boxe è un
argomento specifico e circoscritto e vantando anche una nutrita tradizione
letteraria, da Jack London a Ernest Hemingway, e ha buon gioco
nell’interpretarne le diverse sfumature, legandole alla sua personale
collocazione, la cui origine risale all’infanzia, quando il padre la portava a
vedere gli incontri. Da lì Joyce Carol Oates racconta la boxe come uno sport, e
più di uno sport. La sua analisi storica risale fino all’antica Roma e alle
origini greche del pugilato perché “in ogni modo, la rabbia è la reazione
adeguata a certi fatti irremovibili della vita, non un maleficio immotivato
come nella tragedia classica, bensì un impulso pienamente motivato che trova
molte delle sue radici nella società. L’impotenza prende forme diverse, fra
queste il noncurante dispendio fisico di potenza fisica”. Coinvolta dalle figure
prestanti dei boxeur, dalle loro vite drammatiche, non fa niente per
dissimulare la sua ammirazione e nello stesso modo non le sfugge la natura
intrinseca dei combattimenti visto che
“accade così che più una società è ricca e avanzata, più l’interesse per
determinati sport diventi fanatico. La traiettoria delle civiltà deve
ripiegarsi su se stessa (naturalmente? Inevitabilmente?) come il serpente
mitico che si morde la coda, in un ritorno di passione per le manifestazioni e
i gesti di ferocia. Se è plausibile
che uomini e donne spenti nelle emozioni possano aver bisogno, per
risvegliarle, di esperienze sempre più estreme, allora è plausibile anche che
il desiderio non sia solo di imitare, ma di essere, come per magia, brutali,
primitivi, istintivi e perciò innocenti”. L’analisi è competente e profonda e
la boxe come metafora della vita non s’incastra sempre perché “la pretesa della
boxe è di essere superiore alla vita, in quanto idealmente superiore a ogni
casualità” e d’altra parte “la vita è
come la boxe in molti particolari inquietanti. Ma la boxe è soltanto come la
boxe”. L’indecisione del giudizio finale di Joyce Carol Oates Sulla boxe è contraddittoria solo in apparenza perché è troppo
raffinata ed evoluta nell’esprimere un’idea di pugilato che “pare contenere
un’immagine della vita così completa e potente, la bellezza della vita, la
vulnerabilità, la disperazione, il coraggio inestimabile e spesso
autodistruttivo, che è davvero
vita, nient’affatto gioco”. Questo è solo il primo gradino per salire sul ring
e capire la boxe, e comprendere davvero il suo valore, perché poi “limitarsi a
suggerire che gli uomini potrebbero amarsi e rispettarsi l’un l’altro
direttamente, senza il violento rituale del combattimento, significherebbe
fraintendere la più grande passione degli uomini, la guerra, non la pace.
L’amore, se amore ci deve essere, viene dopo”. Un piccolo saggio, un’utile
riflessione.
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