“Il Mediterraneo è stato il più dinamico luogo di interazione tra società diverse sulla faccia del pianeta e ha giocato nella storia della civiltà un ruolo molto più significativo di qualsiasi altro specchio di mare” scrive David Abulafia nella conclusione a Il grande mare. A cavallo tra il 1979 e il 1980 è “un mare dai molti nomi”, singolare coincidenza con il titolo del romanzo di Don DeLillo, dove si intersecano tensioni geopolitiche, rotte commerciali, strategie terroristiche e operazioni segrete. Il moderno Ulisse di Don DeLillo si chiama James Axton ed è un cittadino americano incaricato di valutare “le quantità di rischio” degli investimenti finanziari in paesi dalla situazione politica ed economica ambigua e/o instabile. Usa “una scala di valori complessa” per interpretare e analizzare i numerosi segnali che arrivano dal bacino del Mediterraneo, in particolare tra la Grecia e la Turchia, anche se poi confessa che nella sua natura resistono due tratti caratteristici a tutta l’umanità: “Noi abbiamo la nostra arroganza. Abbiamo anche la nostra inadeguatezza. La prima è una disperata invenzione della seconda”. Nella sua evoluzione, I nomi si nasconde dietro le sembianze di un thriller (comprensivo di una serie imprecisata di delitti) e invece ha la peculiarità di riuscire a vedere dentro e oltre il linguaggio delle civiltà mediterranee, scrutandone la decadenza negli “anni squallidi che verranno”. Tutto si svolge negli incontri di James Axton, che vede e parla con “gente costretta ad andare d’accordo dalle circostanze” ed è proprio così che prende forma I nomi perché “ogni conversazione è una narrativa condivisa, una cosa che fluttua in avanti, troppo densa per lasciare spazio allo sterile, il non detto. Il discorso è incondizionato, i partecipanti vi entrano completamente”. I nomi riflette la contorta conformazione del Mediterraneo in quel preciso frangente storico, sospeso a un filo di paura, ed è un romanzo avvinghiato all’estenuante capacità di Don DeLillo di insistere sull’obiettivo, fino a quando James Axton recita: “C’è qualcosa che mi irrita, quest’arroganza travolgente, abbattere il potere, rifare la lingua. Con che cosa ci lasciano? Delle designazioni etniche, dei mucchi di iniziali. Opera di burocrati, menti ottuse. Mi rendo conto di prendere questi cambiamenti in modo molto personale. Per me sono come un annullamento della memoria”. I nomi è la versione psicotica e visionaria dei grandi poemi omerici, con la differenza che attraverso le frontiere mediterranee Don DeLillo scopre un’inedita identità letteraria. Una definizione proiettata ben oltre la presunta modernità, visto che “nel nostro secolo, lo scrittore ha portato avanti una conversazione con la follia. Si potrebbe quasi dire, dello scrittore del ventesimo secolo, che aspiri alla follia. Alcuni ci sono riusciti, ed occupano dei posti particolari nella nostra considerazione. Per uno scrittore la follia è come una distillazione ultima di se stesso, un’autocensura finale. E’ l’affogamento delle false voci”. Lungimirante.
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