Come funziona
la musica è destinato a
cambiare in modo sostanziale quel luogo comune, ispirato da Frank Zappa, per
cui scrivere di musica è bizzarro, inutile o addirittura dannoso. Prima di
tutto perché David Byrne affronta l’argomento con il piglio del narratore e
sapendo che “ci sono due conversazioni che si svolgono contemporaneamente: la
storia e il modo in cui la storia viene raccontata”, riesce a restare in
equilibrio, con un tono appassionato e nello stesso tempo molto efficace e
articolato. Dipende anche dalla scelta di affidarsi a un linguaggio chiarissimo
nella sua ricchezza, una scelta dovuta al fatto che “la semplicità è una sorta
di trasparenza in cui leggere sfumature possono avere un effetto enorme. Quando
tutto è visibile e pare banale, i dettagli assumono un significato più grande”.
Per capire Come funziona la musica David Byrne parte dal definire quello che chiama, più
di una volta, “il contesto”, ovvero le condizioni che determinano la percezione
della musica. La sintesi, in breve, potrebbe stare tutta in questo passaggio:
“La musica è forma da onde sonore che captiamo in momenti e luoghi specifici;
sopraggiungono, le percepiamo e poi spariscono. L’esperienza della musica non
consiste semplicemente in queste onde sonore, ma altresì nel contesto in cui si
generano. Molti credono che ci sia una qualche misteriosa qualità insita nella
grande arte, e che ci sia questa sostanza invisibile a suscitare in noi una
reazione tanto profonda. Questa entità ineffabile non è ancora stata
identificata, ma sappiamo che le forze sociali, storiche, economiche e
psicologiche influenza le nostre reazioni tanto quanto l’opera stessa. L’arte
non può esistere nell’isolamento. E tra tutte le arti la musica, essendo
effimera, è la più prossima a essere un’esperienza più che un oggetto: è legata
al luogo in cui l’hai ascoltata, a quanto l’hai pagata e a chi era con te in
quel momento”. Da lì si arriva nella seconda metà di Come funziona la musica e l’apparato teorico e filosofico lascia
campo libero a considerazioni più concrete e prosaiche che riguardano la
produzione della musica. Sono altrettanto pertinenti e interessanti perché
l’analisi dell’industria discografica e dello show business in generale è
impietosa, documentata e sperimentata in prima persona, eppure non è priva di
speranza, alla fine perché di David Byrne rimane convinto che “sono la musica e
il testo a suscitare l’emozione dentro di noi, e non il contrario. Non siamo
noi a fare la musica, è la musica a fare noi”. A David Byrne la prima volta capitò molto tempo fa
ed è cangiante il suo ritratto del CBGB’s e del “contesto” in cui si è
sviluppata un’intera scena musicale ovvero la logica di un quartiere, del tempo
e degli spazi che allora hanno permesso alla musica dei Talking Heads (e di
Ramones, Television, Patti Smith e Mink DeVille) di sopravvivere. E’ laggiù che
“ogni sera quei promemoria sonori ci ricordavamo da dove arrivavamo, dove
eravamo in quel momento e dove eravamo diretti”. E’ così che funziona la
musica.
Nessun commento:
Posta un commento