Il Libro della
misericordia di Leonard
Cohen occupa una posizione speciale nell’arco di tutta la sua espressione. E’
un bizzarro breviario, non allineato, non conforme, non adeguato agli schemi e
alle leggi della fede così come a quelle della scrittura. Volendo è persino
incompiuto, e gran parte del suo fascino risiede proprio lì. E’ una forma di
libero dialogo, anomalo e impossibile perché se è difficile “studiare senza un
amico”, è altrettanto arduo confrontarsi con interlocutori divini e/o
invisibili. E’ lo “scudo della solitudine” la forma di protezione che permette
a questi arabeschi un po’ poesia, un po’ invocazioni, un po’ racconti e un po’
meditazioni di concatenarsi l’uno con l’altro in una sequenza logica. Le
“lunghe sessioni di prova piene di rettifiche, applausi immaginari,
umiliazioni, proclami di vendetta” sono un modo per parlare con se stessi
pregando: l’univocità del tema non rende onore alla complessità della figura di
Leonard Cohen e non di meno è proprio questa caratteristica a rendere straordinario
il Libro della misericordia. Se l’aspetto religioso ha precisi contorni mistici, il tono è
colloquiale e confessionale “da solitudine a unità”, come dice Leonard Cohen,
precisazione che esprime benissimo il senso di un dialogo a metà: il rapporto
con l’altro è scheggiato, improprio, limitato e segue vie misteriose, perché il
divino è intangibile e si rivolge a quel “signore del caso fortuito che è
l’essere umano”. Per tutto il Libro della misericordia Leonard Cohen è in mezzo a un guado, come
gli è successo di frequente, e la sua ammissione è esplicita arriva quando
dice: “Ho spaccato in due il tuo mondo, e sono andato a finire da entrambe le
parti”. Anche separato e conscio che il tentativo di lasciarsi stritolare dalla
comodità dell’ignoranza “era una strategia, e non funzionò affatto”, Leonard
Cohen non rinuncia comunque ai suoi strali: “Qui la distruzione è appena
percettibile, e là il corpo è lacerato. Qui ci si rende conto che tutto va in
frantumi, e là i morti, inconsapevoli, trascinano i loro putridi resti. Tutti
commerciano in lerciume, portano l’uno all’altro il proprio lerciume, tutti
camminano per le strade come se la terra non si ritraesse per il disgusto,
tutti allungano il collo per mordere l’aria, come se il respiro non si fosse ritratto
in sé”. Una visione apocalittica, nel senso proprio di rivelatoria, che Leonard
Cohen richiama spesso nel Libro della misericordia e in modo sempre più esplicito perché
“tutto ciò che non sei tu è l’uomo che crolla contro la propria fronte e la
fronte lo schiaccia. Tutto ciò che non sei tu se ne va sempre più lontano,
raccogliendo le voci della vendetta, mietendo perduti trionfi lontano dalla
vera e doverosa sconfitta”. A quel punto, Leonard Cohen si ritrova “solo con i
gusci e le conchiglie” e un ultimo, grezzo e magnifico vespro che contiene ed
esprime tutto il senso di questi esercizi spirituali: “Anche se non credo,
vengo ora a te, e sollevo il mio dubbio alla tua misericordia”. Inafferrabile.
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