Quando John Williams, all’inizio di Stoner, lascia filtrare l’idea
che non c’è “nient’altro”, ovvero che c’è molto poco da raccontare, suggerisce
già tutta l’essenza di un personaggio che si muove nella vita come se fosse
qualcosa di inevitabile. I costanti e reiterati tentativi di William Stoner di
prendere le distanze dal dolore, dalla fatica delle emozioni e dell’ambizione e
di rendere la vita un fiume tranquillo, di considerarla normale quando tanto
normale non è mai, sono persino commoventi. Figlio poverissimo della terra
americana, William Stoner si laurea e trova la sua vocazione per la letteratura
tutta nell’alveo dell’università e dell’insegnamento. Nonostante il mondo,
fuori, sia nel frattempo travolto da due guerre mondiali, la sua ricerca di un
ordine, limitato e monotono finchè si vuole, ma pur sempre un ordine, è tanto
insistente quando votata al fallimento. Non si chiamerebbe vita, allora, e
l’impossibilità della realtà diventa il vero fulcro di Stoner che prova “perfino a
essere felice, di tanto in tanto” anche se è difficile, dovendo combattere ogni
giorno con quell’infernale virus che sono gli altri. Tra i protagonisti che
irrompono nella routine quotidiana di Stoner, vanno annoverati
almeno la moglie, Edith Elaine Boswick, con cui popola un triste matrimonio
alias “un lungo armistizio, che aveva tutta l’aria di un punto morto” e il
barone universitario Hollis Lomax che lo coinvolge in una ventennale faida e da
lì in qualcosa che è solo “una sorta di perenne insoddisfazione”. La
coincidenza della biografia di William Stoner con il romanzo è perfetta,
un’identificazione totale che è possibile grazie a uno stile asciutto, pulito,
preciso nei dettagli fino all’ossessione. E’ evidente che John Williams è uno
scrittore di livello superiore, in grado di siglare un classico come è a tutti
gli effetti Stoner
ed è altrettanto chiaro che il suo rifugiarsi nella lettura e nella scrittura
ha qualcosa di famigliare perché la realtà non poi così interessante e perché
anche per William Stoner “la serenità tanto agognata andava in mille pezzi
appena realizzava quanto poco tempo aveva per leggere tutte quelle cose e
imparare quello che doveva sapere”. Non appare casuale che l’unico personaggio
con cui sviluppa un minimo di empatia sia Katherine Driscoll, sua amante e
appassionata letterata dato che con Stoner “l’amore per la
letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si
rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e
parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva
sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi
dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con
orgoglio”. Come scrive Peter Cameron nella sentita postfazione di Stoner, non ultimo svelando il
suo vitale paradosso: “Ecco uno dei regali che dobbiamo all’arte: la sensazione
che non tutto è perso, che alcune cose restano perfette e inviolabili”. E’
proprio l’anima di Stoner. Essenziale.
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