Il libro di una vita. Una bibbia pagana e ribelle che ricuce l’indivuale al collettivo, l’introspezione alla polemica, il sogno e la realtà, il silenzio e la musica. Foglie d’erba è una sorta di costituzione permanente che sembra autorigenerarsi con il passare dei secoli perché “ciascuno di noi è inevitabile, ciascuno di noi è illimitato, ciascuno di noi coi suoi diritti su questa terra”. A cominciare dal poeta, alla sua presa di posizione, alla sua scelta di campo quando dice: “Io sono per quelli che non vennero mai sottomessi, per uomini e donne il cui carattere non venne mai domo, per quelli che leggi, teorie, convenzioni mai potranno domare”. Non è convenzionale Foglie d’erba, non lo è mai stato, e Walt Whitman è il primo a iscriversi tra i fondatori di una patria libera quando si proclama: “Né servo né padrone io, non accetto un altro prezzo più facilmente di un prezzo basso, ed esigo quanto mi spetta da chiunque trova il suo piacere in me, e sarò alla pari con te come tu lo sarai con me”. Questa distanza e insieme la comunione con un’idea di paese si rincorre per tutti i versi di Foglie d’erba, come se il bardo cercasse di identificarsi nel luogo, solo che Walt Whitman sa e decide che “Una nazione si proclama, per conto mio creo la sola crescita per cui posso venire stimato, non respingo nessuno, accetto tutti, e li riproduco nelle mie proprie forme”. E’ ancora una volta l’anelito verso la libertà ad assumere il comando e a indicare la direzione in cui porterà la “strada aperta”. Il poeta ha “anche sognato che lo scopo l’essenza della vita conosciuta, che passa, consiste nel formare e determinare la nostra personalità per la vita ignota, che è eterna” e ammette che deve seguire le “continue lezioni dell’aria, dell’acqua, della terra” e non c’è tempo da perdere perché l’anima richiama per la “circumnavigazione del mondo, il periplo dell’uomo, il viaggio di ritorno dell’anima sua, verso il giovane paradiso della ragione, risalendo, rimontando verso la culla della saggezza, le intuizioni innocenti, di nuovo con la bella creazione”. E’ un respiro continuo, un ritmo perfetto, dentro e fuori, fuori e dentro che mette il poeta al centro, a interrogare la musica del suo sogno, e poi di nuovo, ad alzare la bandiera del sogno di tutti. E’ esplicito Walt Whitman quando chiede: “Che mai credete sia la creazione? Che mai credete possa soddisfare l’anima, se non camminare libero e non riconoscere padrone?”, ed è l’unico emendamento su cui si può contare. In fondo, con il suo stato, quello vero, Foglie d’erba intreccia un utile e fedele ritratto: “L’America non respinge il passato, o ciò che il passato ha prodotto nelle sue varie forme, o tra altre politiche, l’idea di casta o le vecchie religioni, accetta la lezione con calma, non è impaziente perché i ritardatari restano fedeli a certe opinioni e mode letterarie, mentre la vita che serviva di base a esse si è trasformata nella nuova vita delle forme nuove”. Inutile cercare altrove: l’unico, vero grande romanzo americano è Foglie d’erba, ed è una lunga, infinita, straordinaria ballata. E molto di più.
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