Oggi come oggi bastano le parole del protagonista di Madre per capire la portata dei racconti di Winesburg, Ohio. In quattro righe, forse meno, Sherwood Anderson condensa tutta un’identità, una voce e una prospettiva: “Un giorno, diceva a se stesso, il vento della politica soffierà in mio favore, e gli anni di fedeltà disinteressata contano molto per l’assegnazione delle ricompense”. Il volto può figurarselo il lettore, e c’è solo l’imbarazzo della scelta per i lineamenti così come non mancano altri argomenti perché come scrive in Il libro delle caricature: “in principio, quando il mondo era giovane, c’erano molti pensieri ma non esisteva nulla di simile a una verità. Le verità le fabbricò l’uomo, e ogni verità fu composta da un grande numero di pensieri imprecisi”. Il fallimento di quest’ordine, la sua stessa natura è la radice geografica (e non solo) di Winesburg, Ohio. “Si chiedeva l’operaio Sherwood Anderson: qual è mai il significato di quest’enorme nazione che è fatta dei rifiuti di tutte le nazioni; che vive, che suda, che bestemmia e si rinnova continuamente; che non ha bellezza, non ha memorie, non ha nulla, se non un’avidità smisurata di vita e di fortuna e che nelle sue espressioni sinora più alte non ha saputo che scimmiottare i gesti stracchi dell’Europa, e riverniciarsi di tutti i lustri più falsi dell’Europa”: la definizione è stagionata, visto che arriva da La letteratura americana di Cesare Pavese, però contiene alcuni elementi molto interessanti e utili alla riscoperta di Winesburg, Ohio o almeno ad avere un punto di riferimento. Di meglio può fare solo lo stesso Sherwood Anderson che disse a William Faulkner: “Devi avere un luogo da cui cominciare: dopo puoi imparare. Non importa dove si trova questo luogo, basta che tu lo ricordi e non te ne vergogni. Perché un posto da cui cominciare è importante quanto qualunque altro”. Sherwood Anderson scrive “semplicemente con il potere della sua stessa convinzione” ed è quella che una smalltown è nello stesso tempo un microcosmo rappresentativo dell’intera umanità e una particella di quell’America costituita da una miriade di città puntiformi, tutte uguali e tutte diverse, come era e com’è ancora Winesburg, Ohio. Da lì ci si può muovere alla ricerca del tempo perduto verso Spoon River, lungo i confini di una prateria più profonda che piatta, sulla Route 66 e sull’Highway 61 in quell’eterno movimento che è l’immobilità dell’artista. Non ci sono alternative e cercarle è una perdita di tempo o meglio, come dice in Madre: “Non ci provo neppure. Non serve. Non so cosa farò. Voglio soltanto andarmene, vedere gente e pensare”. E’ proprio l’ultima fase di questo proposito l’anima di Winesburg, Ohio: il personaggio, la maschera, il carattere è superato per sempre perché Sherwood Anderson costruisce una galleria di volti che sono la storia. Una progressione per cui la trama o l’ambiente diventano relativi perché, come ha detto Charles Bukowski “Anderson è stato il piú bravo a giocare con le parole come fossero pietre, o pezzi di roba da mangiare” e le ha rese libere e indispensabili. Un classico, nel senso più ampio e compiuto possibile.
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