“Quaggiù ci sono solo vincenti e perdenti e non devi finire dalla parte sbagliata di quella linea”: ci vuole Atlantic City come colonna sonora, per questi Piccoli delitti del cazzo, titolo prosaico che però rende alla perfezione l'atmosfera di un mondo e di una quotidianità che sono sempre sul filo dell’illegalità. All’inizio non è mai niente di grave: qualche sotterfugio, furti banali, quel tanto di espedienti da sbarcare il lunario. Poca roba, più stupida che fuorilegge, però la spirale non conosce interruzioni per cui ad un certo punto si arriva anche ad una rapina vera e propria e si finisce con un omicidio atroce e maldestro. Protagonista di questa rapida e progressiva discesa nei bassifondi degna di James Cain è Tommy Russo, un fallito di primissima qualità che sogna di diventare attore ma perde gran parte del suo tempo (e tutto il suo denaro) a scommettere sui cavalli sbagliati. Da qui, l’insistente necessità di liquidi (mettiamola così) che lo espone, passo dopo passo, alle deviazioni verso the wrong side of the road, per dirla con Tom Waits. Nella New York umida, fangosa, poco pulita e molto cupa tratteggiata da Jason Starr non ci vuole molto: basta una parola al momento sbagliato o uno scherzo del destino e tutti, chi più, chi meno, contribuiscono a spingere Tommy Russo sempre più a fondo. Chi mente, chi nasconde qualcosa, chi si ritrova invischiato, se non altro come testimone nelle sue gesta: tutta la varia umanità di Piccoli delitti del cazzo sembra concorrere a creare un’atmosfera ambigua tra vincenti e perdenti che si interseca con i confini fra ordine e illegalità. La costruzione dei dialoghi, sempre frammentari e sferzanti, ha un ruolo tutt’altro che secondario perché i personaggi di Piccoli delitti del cazzo, a partire da Tommy Russo parlano come camminano. Quando la sua ragazza scopre che l’ha derubata, si giustifica così: “Ho il vizio del gioco. Non avrei voluto dirtelo, ma è la verità. Ho iniziato a scommettere quando ero alle superiori e da allora è stato sempre peggio. Vado sempre all’ippodromo e nelle agenzie ippiche, a puntare soldi su quei cazzo di cavalli. Mi dispiace di non averne mai fatto parola, ma non sapevo proprio come affrontare la questione”. Se lui l’ha derubata, lei gli ha mentito e, pare di capire, nessuno è innocente e tutti hanno qualcosa da nascondere (a volte anche un cadavere). Con il ritmo di un vero e proprio thriller, Piccoli delitti del cazzo ribadisce quell'attitudine che Jason Starr aveva già dimostrato con Chiamate a freddo (un libro sicuramente da riscoprire): una scrittura noir e senza particolari pretese letterarie, ma che non concede nulla ai modelli ristretti della narrativa di genere e, anzi, li sfrutta al meglio per ridefinire mondi, caratteri ed atmosfere dove la sconfitta morale del genere umano è dietro l'angolo. O appena dall'altra parte della linea tracciata da Atlantic City canzone il cui tema che, sarà per caso o chissà perché, coincide in gran parte con la storia di Tommy Russo, dei suoi Piccoli delitti del cazzo e di una New York che tanto innocente non è mai stata.
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