lunedì 28 aprile 2025

Jane Smiley

L’agricoltura nelle sterminate lande dello Iowa chiede tutto, e anche di più. Per le sorelle Cook (Rose, Caroline e Virginia alias Ginny) il senso delle generazioni che si susseguiti nello stesso perimetro ha un valore esplicito, e doloroso. È nella voce di Ginny che i alternano i ricordi dell’infanzia, un presente da decifrare e il passato che è sempre in agguato: insieme alla terra, Rose e Ginny hanno ereditato un’ombra che entrava nelle loro camere. Nella successione c’è sempre qualcosa che non si vorrebbe portare via. Emerge appena superata la metà del romanzo di Jane Smiley: il gesto di Larry Cook, nel tramandare le proprietà pare sensato e logico, ma riapre oscure ferite del passato, popolato da fantasmi di violenze e abusi, proprio dentro le stesse mura. Se ha un peso “la saggezza delle pianure: fingere che non sia successo” è perché “gran parte delle preoccupazioni in una fattoria si riassume in una soltanto: salvare le apparenze”. In questo Jane Smiley è una narratrice attenta e raffinata, capace di cogliere la vita scandita dai ritmi naturali delle campagne e delle famiglie, i Cook, da un parte e i Clark dall’altra. Una routine faticosa che è spezzata proprio dal gesto del lascito paterno, che impone un cambiamento. In quel momento l’equilibrio, basato su una parvenza di normalità, non meno che sulle abitudini, va in frantumi. Larry Cook è una figura prominente e inamovibile in una tradizione patriarcale, dentro un mondo a trazione maschile, dove le donne sono confinate a ruoli ben precisi ma distanti dalla reale possibilità di decidere qualcosa. Nonostante la vastità delle colture e del paesaggio è “un mondo piccolo, piccolo e completo, che si ripiegava di continuo su sé stesso”, e i rapporti famigliari sono soggetti a tensioni nascoste, e spesso indicibili. Le personalità a quel punto sbocciano come il granturco maturo, ognuna con i suoi drammi irrisolti e il primo è proprio Larry che scompare in una notte di pioggia. Da lì è un susseguirsi di colpi di scena: alcuni sorprendono, altri risulteranno prevedibili. Attorno alle fattorie si sviluppa un coacervo di sentimenti contrastanti: il passaggio di proprietà toccherà i destini di un po’ tutti i protagonisti, con i tempi dell’agricoltura sullo sfondo, anche se gli intrecci tra investimenti, debiti, inquinamento, allevamenti, semine e raccolti sottolineano altrettante svolte in Erediterai la terra. L’impressione è che nell’estate del 1979 siano successe troppe cose nella Zebulon County e se è vero che “non è un peccato lottare: tutti lo fanno” i conflitti, per quanto aspri (e violenti) sembrano filtrati da una scrittura accomodante, con un mood che ha anche una sua logica nel riportare come “tutto sembrava straordinariamente remoto”. Il tono, molto elegante, ricorda un po’ quello di Anne Tyler con un tatto speciale per le emozioni dei personaggi. Per esempio, l’ottica di Ginny, che è fondamentale nell’economia della storia, viene celebrata così: “Mi chiesi se, in fondo, non fosse quello il modo giusto di guardare le cose: aspirare l’odore delle rose selvatiche nel bel mezzo di una discarica e osservare tutto in prospettiva”. Il dubbio è una costante, i giudizi restano sospesi, il tormento, per quanto garbato, è incessante finché, come pare avvisarci Jane Smiley, “ricordiamo che non si è mai gli stessi, ma che arriva un momento in cui il sollievo diventa abbastanza” e questo, come si vedrà, è anche l’amara conclusione di Erediterai la terra.

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