In Out There In The Middle, una canzone di James McMurtry, songwriter dalla nobile discendenza letteraria (il padre è proprio Larry McMurtry) declamava i pregi e le qualità di vivere in un angolo della provincia e nel ritornello, cantava che laggiù, in mezzo al nulla, “nessuno ruba, nessuna imbroglia”. Una percezione che aderisce millimetro per millimetro lunga La strada di casa che porta a Holt, che è Holt è protagonista assoluta con i suoi sguardi e i suoi silenzi, proprio come se, nel placido tran tran che la distingue, vivesse di vita propria. Non succede mai nulla, ma quando capita è un casino ed è così con Jack Burdette. Già figlio di una tragedia (Kent Haruf non gli risparmia nulla), poi prodigio del football, infine amministratore della cooperativa dei silos che delimitano lo skyline di Holt, Jack Burdette è protagonista di due sfregi insanabili. Prima, in un viaggio di lavoro, conosce Jessie e la sposa, mandando all’aria il lungo fidanzamento con Wanda Jo Evans. Poi, altrettanto repentinamente, sparisce con la cassa della cooperativa, e tanti saluti. Lo scontro è aperto, plateale: chi lascia Holt è in qualche modo imperdonabile e la città, come se fosse un essere organico, lo respinge come un corpo estraneo. Le vite si spezzano all’improvviso, così senza logica apparente, o con i motivi di sempre: sesso, soldi, alcol. A Holt la monotonia è una rete di sicurezza, il vero privilegio è quello di poter “abbassare la guardia”, promesse, sogni e speranze restano argomenti piuttosto pericolosi. È per questo che Jack Burdette non è l’unico ad andarsene: c’è una certa simmetria che si sovrappone alla mappa di Holt e vede protagoniste quelle figure femminili (Wanda Jo Evans, Nora Parker e Jessie Burdette) che si rivelano i cardini della storia. La strada verso casa è lunga e impervia, ma Kent Haruf trova una singolare armonia anche nel raccontare il conflitto: si affida alla voce di Pat Arbuckle, compagno di classe di Jack Burdette che ha avuto dal padre la direzione dell’Holt Mercury, la gazzetta locale. Anche se è un testimone oculare (e direttamente coinvolto) Pat Arbuckle interpreta alla perfezione il ruolo che gli ha assegnato la storia di Jack Burdette e per quell’attimo lungo qualche anno, lui è l’uomo giusto, nonostante i tormenti e i dolori, che La strada di casa distribuisce in modo equo, uniforme e, verrebbe da dire, davvero democratico. In effetti, Holt ha una sua moralità, che se da una parte ha senso nel tentativo di proteggere le vite così come sono state impostate, dall’altra resta una gabbia mentale. Ma Kent Haruf non manifesta e non spiega nulla e da grande storyteller lascia in sospeso molte questioni e avvolge il lettore in vicende che si incastrano una nell’altra, seguendo le ondate di ricordi che si susseguono senza soluzione di continuità. Per dire, il lungo inciso dedicato a Charlie Soames (complice dell’appropriamento indebito di Jack Burdette) è un gioiello grezzo e, per via di come racconta la nascita di una complicità, e per certi dettagli balistici, ricorda da vicino La ballata della pallottola flessibile di Stephen King. Anche la provincia è la stessa che, ancora oggi, si regge sui dogmi inamovibili della Bibbia e del fucile, e se La strada di casa concede, in fondo, “l’impressione che Holt fosse meglio di com’era in realtà” è, si sarà capito, grazie al tono accorato di Kent Haruf che è quello di una ballata lunga una vita.
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