Nei meandri brulicanti delle Filippine, giovanissima e affamata, Paz (Pacita) vuole mettersi un dente d’oro per imitare la sorella: risparmia e rubacchia e alla fine trova un dentista maldestro che per soddisfare il suo desiderio le provoca un’infezione che le fa perdere tutti i denti. Ma Paz è indomita e coraggiosa, diventa infermiera e sposa Pol, stimato ortopedico (nonché rinomato playboy), rampollo del clan dei De Vera. Per ricostruirsi una vita emigrano a Milpitas, nella Baia di San Francisco: lui si adegua a fare la guardia giurata, mentre Paz accumula turni su turni nel tentativo di ripianare i conti delle carte di credito. I suoi sforzi non sono sufficienti a anche perché deve mantenere uno stuolo di parenti, a casa e negli Stati Uniti. In più, hanno una figlia, Roni, l’unica amerikana tra loro, e Hero, che è la nipote, arriva per farle da autista e da baby sitter. Hero ha un passato tumultuoso e doloroso: ha aderito alla guerriglia ed è stata catturata e torturata dagli agenti della dittatura di Marcos. Un giorno deve portare Roni da una guaritrice, per curare il suo eczema. È lì, nel ristorante di Adela, che conosce Rosalyn. Ci vorrà un po’ ma tra le due ragazze nasce un sentimento che fanno fatica a gestire e che per Hero funzionerà come una leva nel mostrarle la sua nuova esistenza: “Buffo, scoprire questo di sé proprio adesso: che era possibile nutrire pretese tanto profonde e irremovibili senza neppure saperlo; evidentemente c’erano pretese in grado di sopravvivere per anni dentro il nucleo di una persona. Buffo, quanto poco ancora sapesse di se stessa, quanto ancora ci fosse da vedere, e da cui farsi confondere. Era buffo alla maniera in cui sono buffe le cose un secondo prima che si mettano a scavarti dentro, a torcerti e a strapparti”. Non è l’unico colpo di scena, anche se L’America non è casa è del tutto privo di trucchi e di effetti speciali. Al suo esordio, Elaine Castillo sceglie un approccio ravvicinato e stratificato: mescolando i punti di vista dalla seconda alla prima persona e le lingue (inglese, tagalog, ilocano e panganisan) ottiene l’effetto denso e ammaliante di una voce dentro le famiglie filippine, che si allargano a dismisura tra nonni, zie, nipoti e parenti acquisiti. Si trovano e si ritrovano spesso: la definizione dell’identità è affidata alle ricorrenze che si trasformano in feste per tutta la comunità (Paz spende diecimila dollari che non ha per il compleanno di Roni) dove la musica e il cibo hanno ruolo dominate. La musica perché “apriva una fenditura, piccola quanto bastava, dove il ricordo potesse dipanarsi in sicurezza” e il cibo (onnipresente) nelle elaborate descrizioni di Elaine Castillo è protagonista assoluto persino nell’eloquente finale. Come se fosse l’espressione più intensa, naturale e densa della nostalgia: L’America non è casa perché si tratta di essere lì e non essere lì, una condizione irrimediabile per tutti gli emigranti, perché come ammette Paz “sei stata straniera tutta la vita; quando finalmente te ne vai, l’unica cosa che ti auguri è un’estraneità più sopportabile”. Ogni occasione è un tentativo, coerente e insistente di ripristinare “l’effettiva condizione del mondo, un mondo in cui c’erano ancora musica melensa, lechón kawali, pioggia forte ma passeggera, sport in tivù, vacanze annuali, famiglie affettuose, amore ricambiato”, ma che fluttua come “uno scherzo di tali, surreali proporzioni che l’unica conclusione a cui si poteva giungere era che non fosse per niente uno scherzo; e se non lo era, e non era un sogno, poteva essere solo... Vita. Vita vera. Ordinaria esistenza”. Non è così semplice: per quanto le opportunità siano infinitamente superiori alle Filippine, resta il fatto che L’America non è casa, le difficoltà e le tensioni sono costanti, se non opprimenti (compresi gli echi delle rivolte di Los Angeles nel 1992) e lì fuori, comunque, “c’è una storia, o si è trattato di... Una parola che non dirai, che non concepisci, una parola che aleggia come smog sulla tua vita e quella di tutte le altre donne che ti circondano. Non lo sai. Guardarti in faccia non ti dice niente, e non c’è nessuno a cui chiedere”. Notevole.
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