Ci
voleva il Nobel a Dylan per ricordarlo urbi et orbi, ma Rick Moody
l’aveva già capito con Musica celestiale che “la
letteratura, come la musica, vuole apertura, vuole esperienze, vuole
presa di coscienza e emozioni, e vuole esprimere tutto questo con
accuratezza e con dolcezza”. Una richiesta espressa in modo
perfetto, anche quando i temi sono tra i più disparati: in Musica
celestiale trovano posto le note scritte per i Wilco, il diario
agrodolce di Due settimane al campo musicale, il capitolo
dedicato a New York per la Rock’n’Roll High School di
Little Steven, ovvero L’underground di New York 1965-1988,
gli omaggi ai Pogues e ai Lounge Lizards. Anche se tesa a condividere
“visione storica, immaginazione, brama culturale, e passioni e
debolezze molto umane”, la dimensione è colloquiale, per cui il
tono funziona sempre e la voce di Rick Moody, più che le sue analisi
(che comunque sono accurate e documentate), risulta essere il
collante ideale per rendere coerente e uniforme una composizione in
realtà molto eterogenea. Contenuta da due estremi opposti e
sovrapponibili: cool e underground sono le parole d’ordine che
comprimono tutto quello che c’è dentro la Musica celestiale,
i tempi e i rituali, le epifanie e le interpretazioni, gli alti e i
bassi perché, come si premura di ricordare Rick Moody, “nella vita
capita di toccare il cielo con un dito e di capire quanto sia
importante quell’istante, ma poi ci si sveglia e ci si rende conto
di avere ancora molta strada da fare. Oppure: tutte le cose giungono
alla loro conclusione, specie la sensazione che la tua giovinezza sia
stata memorabile; questa sensazione si affievolisce, gli occhi
luminosi della giovinezza si velano di oscurità, tutto quel danzare
attorno a certe colonne sonore di quegli anni finisce, e ti trovi a
passare da un lavoro incompiuto a un altro e a cercare di tenere i
creditori a bada. Arrivano più bollette che lettere d’amore”. La
sfida ai luoghi comuni non è del tutto convincente, rimangono in
sospeso La questione del declino o quella dei Piaceri
inconfessabili, la musica come rifugio e come hobby, così come
Rick Moody alterna fiction fiction e filosofia, narrativa e
autobiografia, restando in bilico tra il racconto della sua
esperienza e dell’esperienza in sé. Non a caso, I frammenti di
Pete Townshend è forse il capitolo che rappresenta uno snodo,
anche nella sua forma assemblata di più parti, perché Rick Moody
sembra riflettersi, magari in modo involontario e spontaneo, nella
tormentata personalità del chitarrista degli Who. Se non altro,
Musica celestiale non cede alla tentazione di azzerare gli
orologi o di cancellare una storia quando è chiaro che “questa
musica del passato ci offre un rinnovato accesso alle nostre antiche
percezioni e emozioni, e quindi con ogni probabilità c’è un che
di intrinsecamente nostalgico nel piacere inconfessabile (benché
ritenga la parola nostalgia inadeguata in questo contesto: sarebbe
come dire che tutta l’opera di Proust ruota attorno alla nostalgia
per un dolce). Ma se la musica riesce a dar voce a emozioni che
altrimenti rimarrebbero inespresse, questa non è forse una ragione
sufficiente per considerarla valida e importante?” Il senso più
intimo e profonda della Musica celestiale è proprio nella
risposta di Rick Moody quando dice che “la memoria è difettosa,
costellata di errori, trasuda desiderio, eppure interagisce con la
musica in modo duttile; come il jazz, la memoria è imprevedibile, e
offre ai musicisti qualcosa su cui puntare, così come offre agli
scrittori qualcosa su cui scrivere”. La definizione rimane quella,
l’entusiasmo resta intatto ed esplicito quando viene così
condensato e sollecitato: “Prendete il controllo del vostro
splendido linguaggio. Mettete in funzione il vostro gergo alchemico.
Rimescolate il vostro slang. Suonate i vostri innumerevoli fiati.
Suonate bene. Suonate con sentimento”. L’esortazione, molto Beat
Generation, in coda all’introduzione della Musica celestiale,
è ambivalente e si può leggere anche al contrario visto che, come
ribadisce Rick Moody, “la letteratura, pur manifestandosi sulla
pagina, è un fenomeno acustico”. Ecco perché, tra l’altro, il
Nobel è andato dove è andato.
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