La
canzone che sottolinea dall’inizio alla fine Il mio angelo ha le
ali nere ha una storia particolare perché è If You Got The
Money, Honey, I Got The Time, un classico di Lefty Frizzell,
scritta con il suo manager, Jim Beck. Registrata dallo storico
produttore della Columbia, Don Law, la canzone venne pubblicata il 14
settembre 1950 e rimase per tre settimane al primo posto nelle
classifiche country & western (poi ci tornò nel 1976
nell’interpretazione di Willie Nelson). Tim e Virginia l’ascoltano
dalla radio di una stanza d’albergo dove s’incontrano. Lui è
appena uscito di galera e “la canzone e le parole facevano un
effetto strano cantate da lei, con la freschezza di una ragazzina, ma
con la voce appena smozzicata di una signora”. Nasce in quel
momento una liaison pericolosa e instabile: Tim, come tutti i
delinquenti che si rispettino, ha un piano per un ultimo colpo e vede
in Virginia la complice ideale. Un po’ perché sa guidare, e un po’
perché “si può dire quello che si vuole, ma in realtà le persone
affamate di denaro, quelle voracemente affamate, sono una categoria a
parte”. Lei è una femme fatale incontrollabile e risoluta,
l’incarnazione vivente del ritornello della canzone di Lefty
Frizzell: se tu hai i soldi, dolcezza, io ho tempo. Al centro dei
pensieri e dell’azione c’è sempre la rapina da un milione di
dollari con tutti i cliché del caso, allineati con rara maestria da
Elliott Chaze. E’ un colpo ingegnoso, studiato per non lasciare
nessuna traccia, e, come nelle migliori tradizioni, è stato
elaborato in carcere, con un compagno di cella, Jeepie, un fantasma
che sembra seguire ogni movimento di Tim. Da lì in poi si rischia di
rivelare particolari importanti, che toglierebbero la sorpresa al
ritmo serrato, sincopato e senza un attimo di tregua di Elliott
Chaze. Uno stile molto evoluto rispetto ai dettami (pulp) dell’epoca
(siamo nel 1953). Intanto l’ambientazione, almeno nella prima
parte, è insolita per un noir, con tutti quei riflessi bucolici
nella wilderness, l’acqua chiara e gelida del torrente, la luce del
tramonto e la volta stellata di notte. Un paesaggio idilliaco in
netto contrasto con le motivazioni oscure che hanno portato lì, sui
pendii del Colorado, Virginia e Tim che li legano a quel luogo fino
alla fine della storia. La differenza è nitida e sottolineata dalla
scrittura di Elliott Chaze che si presta con generosità a illustrare
ogni scena, sia che Tim e Virginia si trovino circondati dalla
natura, sia che vengano ritratti in cornici più anguste, come il
posto nella fabbrica di lamiere per Tim. I luoghi scorrono veloci:
anche quando preparano il colpo in un quartiere sonnolento di Denver,
dove l’attività principale è innaffiare il giardino o scrutare i
movimenti dei vicini, la fuga è soltanto rimandata. E’ il vero
elemento trascinante di Il mio angelo ha le ali nere: Tim e
Virginia scappano anche dal proprio nome e Elliott Chaze non
distoglie mai l’obiettivo e non perde occasione per evidenziare il
senso unico a cui sono obbligati perché “nessuno è immune dal
pensare”. La vita da fuggiaschi ha i suoi alti e bassi: Tim e
Virginia si spostano lungo strade deserte o nella movimentata vita
notturna di New Orleans, ma qualcosa li costringe a tornare a
guardare nell’oscurità di un pozzo, dove il destino, inevitabile e
tragico, li sta aspettando. Il resto è l’abilità (non
indifferente) di Elliott Chaze nel servire il contorno, lasciando
suonare ancora una volta If You Got The Money, Honey, I Got The
Time, anche se ormai, dolcezza, non ci sono più né i soldi né
il tempo. Un classico, nerissimo e spietato.
Nessun commento:
Posta un commento