Quando sei sulla strada ti serve “cervello e immaginazione” che funzionino in modo rapido e preciso perché un nuovo giorno non è mai garantito e dipende tutto dalle risposte alla fame e al freddo. Cercare un posto caldo dove dormire o un pasto appena appena decente, fuggire ai balordi e alle guardie, salire e scendere da un treno in corsa, camminare nella polvere e nel gelo, rannicchiarsi nel sonno malato tra gemiti e spazzatura: una vita da cui non c’è niente da aspettarsi è raccontata da Tom Kromer in modo plateale, caustico, diretto. Il tono della sua scrittura, le voci dei suoi personaggi non sono levigati da alcuna necessità letteraria: Vagabondi nella notte è una lunga e aspra ballata senza mediazioni, uno sguardo fisso sulla ferita aperta in una nazione travolta dalla crisi economica. Lo sguardo è disincantato, livido, duro, sempre punteggiato da uno schizzo di indignazione. Ecco l’inquadratura in attesa del pasto quotidiano: “Aspetto e, cristo, il tempo non passa mai. Me ne sto qui, in questa fila per la minestra. Davanti e dietro c’è un sacco di gente, centinaia di persone. Mi rannicchio nel mezzo della fila. Sono qui da due ore. E’ notte, e mancano ancora dieci minuti alla distribuzione della minestra. Il vento sibila da dietro l’angolo e mi taglia come un coltello. Sono qui solo da due ore. Alcuni di questi vagabondi sono qui da quattro. Dall’altra parte della strada, la gente si ferma sul marciapiede. Ci guarda. Siamo un bello spettacolo, per loro. Una fila la minestra lunga due isolati è qualcosa da non perdersi. Non sono in fila, quelli lì che si fermano sul marciapiede. Dev’essere comodo non avere nulla di cui preoccuparsi”. Il bianco e nero è quello delle fotografie di Walker Evans, l’accento stridulo è lo stesso delle tempeste di parole di Woody Guthrie, gli umani soggetti (da una parte e dall’altra della strada) sono sempre quelli dei reportage di James Agee: i volti scavati, gli abiti sdruciti, le scarpe sfondate, gli occhi che chiedono perché senza mai ottenere risposta. Qualcosa di feroce, invisibile e malefico nascosto nella crisi economica (allora come oggi, le differenze sono relative) ha spazzato le loro vite, lasciandoli nella miseria attoniti, disperati, abbandonati e, più di tutto, soli. A differenza di altri testimoni, per quanto validi, Tom Kromer è uno di loro, così dentro e vicino da poter cogliere i dettagli più crudeli: “E’ notte, e siamo in questa giungla. E’ la nostra casa per stanotte. La nostra casa è una discarica d’immondizia. Tutt’intorno ci sono mucchi di scatole di latta e di bottiglie rotte. Tra i mucchi, dei fuochi. Alla nostra destra, un uomo e una donna sono rannicchiati intorno al fuoco. Un bimbo piccolo rantola tra le braccia della donna: ha la difterite. Tossisce tanto che gli si illividisce il faccino. La donna è terrorizzata. Gli dà dei colpetti sulla schiena. Per un po’, quello torna a respirare, poi da capo smette. Non riesci a curare un bimbo malato di difterite a forza di colpetti sulla schiena”. E’ la pura e semplice verità.
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