mercoledì 19 luglio 2023

James Welch

Il luogo è il limite e la plateale contraddizione è nella visuale degli spazi aperti, infiniti che si aprono all’inizio, maestosi e incombenti, “un panorama più vasto di quanto ci si potesse immaginare”, e saranno la cornice alla fine, in fondo a una strada senza via d’uscita. Ci si arriva per gradi: L’ultimo giorno di Jim Loney funziona come un vortice che ruota attorno al suo protagonista e via coinvolge progressivamente un nugolo di abitanti di Harlem, Montana. Loney, spaesato e disorientato,  è tutto concentrato su se stesso: si accontenta di niente (“Le cose che gli servivano erano poche e nessuna era urgente”) e “negli ultimi anni era diventato una specie di non-persona, come può accadere solo in una piccola città, una piccola città del Montana”. Come dice Jim Harrison, Jim Loney è “un mutante sociale”, un essere “invisibile” le cui giornate sono condite di pessimo vino, da “un amore senza pretese” con Rhea, dal  fragile legame con la sorella Kate che gli dice: “Ti meriti di vivere”, ma lei se ne è andata da tempo. L’opzione della partenza è più di una tentazione, soprattutto nel perdurare dell’inverno, ma se le possibilità si riducono alla pioggia di Seattle, l’alternativa non sarà mai sufficiente. Jim Loney deve averlo già intuito e resta avvinghiato al ridottissimo paesaggio umano perché sta cercando qualcosa di più. Quello di Loney, il tentativo di “crearsi un passato, delle radici, delle origini, qualcosa che gli avrebbe detto chi era” è un puro dilemma americano, profondo e irrisolto ed è lì che Hank Williams appare come la neve: inevitabile. I’m So Lonesome I Could Cry esce dalla radio e determina il corso del racconto, spezzandolo, allargandolo e dividendo i destini dei protagonisti. Da quel momento è come se Jim Loney diventasse magnetico e la storia si apre in tutte le direzioni, nello spazio, e soprattutto nel tempo, da cui affiora una danza di fantasmi, vivi e morti. Il primo è il padre, responsabile di aver abbandonato i figli. Una porta si apre verso il passato, Jim entra e, insieme, esce, ma ormai è troppo tardi. Secondo lui il padre “non sa niente, non gli importa niente, e ciò lo rende innocente”, visto che non può dargli alcun risposta, e quello che gli dice non fa altro che precipitare la situazione. James Welch, con una scrittura lirica e drammatica, non fa sconti: la realtà dei nativi è quella di essere stranieri e profughi sulla propria terra, confinati nelle riserve che sono un confine invalicabile, peggio delle pessime abitudini  di ogni smalltown che si rispetti. La sua è la voce di un estraneo al bancone del bar (è lì che succede tutto) che ti racconta tutto sulla fiducia. Il whiskey è un’attrazione pericolosa, e non si può scappare. Ogni singola cosa, nei contrasti fortissimi tra grande e piccolo, vicino e lontano, gli orizzonti spalancati e le finestre chiuse assume un particolare significato. Ci vuole un occhio allenano e James Welch inquadra così uno dei momenti salienti che rischiarano L’ultimo giorno di Jim Loney: “Mentre cercava di accendere un altro fiammifero per un’altra sigaretta, si accorse che gli tremavano le mani. Gli sarebbe piaciuto credere che tremassero per il freddo, ma capì senza pensarci che tremavano perché non c’era vero amore nella sua vita; che in qualche modo, a un certo punto, tutto era andato terribilmente storto e, sebbene ciò riguardasse in parte la sua famiglia, riguardava totalmente lui”. Un gesto, un ricordo, un singolo frammento “la candela, la bottiglia di vino, la lettera davanti a lui, tutto ardeva chiaramente nei suoi occhi ma era come se non fosse reale nella sua mente” ed è lì che ci porta James Welch, dentro il cuore buio della solitudine e della dissoluzione, tra l’altro con un finale praticamente perfetto, quasi un’elegia, un inchino al paesaggio, impervio e bellissimo. Nella giusta prefazione, Jim Harrison scrive: “I romanzi sono pensati per ampliare la mente, non per rispondere a questioni letterarie” ed, ecco, proprio così, non c’è esempio migliore.

1 commento:

  1. Ciao Marco, gran bel libro questo di Welch, letto anni fa nella vecchia versione La morte di Jim Loney. Un caro saluto, Matteo

    RispondiElimina