Mentre l’uragano Katrina si gonfia all’orizzonte, la giovanissima Esch deve inventarsi ogni giorno una diversa strategia di sopravvivenza nella contea di Bois Sauvage, Mississippi, dove “tutto si incrina e si spezza”, è rotto o sta per rompersi, e “il resto lotta con le unghie e coi denti per non morire di fame”. La vita è innocente e selvaggia, dura e spietata: c’è qualcosa che nasce e qualcosa che muore, e poi tutto quello che resta a metà. La madre di Esch è spirata durante il suo travaglio e mentre China (il pitbull del fratello Skeet) partorisce, Esch si ritrova incinta e “per il momento essere incinta significa questo: vomitare”. Succede perché a Bois Sauvage è tutto molto spontaneo, e il sesso è soltanto una variazione d’uso dell’amore, come se i corpi fossero scambiatori di calore, e nient’altro. Nella natura, rigogliosa e odorosa, con l’acqua e la terra che si confondono e le avvisaglie dell’uragano che sta per arrivare, resta poca o nessuna distinzione nella vita animale: non c’è molto da salvare, ma l’istinto spinge ogni essere vivente, senza distinzione, a restare a galla. Sono le donne, le madri a dettare la storia di Salvare le ossa: China (che è la vera protagonista) deve combattere ancora una volta, nonostante abbia dei cuccioli da allevare, ed Esch è costretta a scoprire che cosa “è amore, e fa male”, per poi immergersi nella lettura della mitologia di Medea. Gli uomini sono un disastro, peggiorati dalla vita allo stato brado. Se non sono impegnati in risse inutili, a fumare o a bere, nella migliore delle ipotesi vagano senza costrutto, nella peggiore riescono a farsi del male da soli, e consumare gli ultimi residui di speranza. Quando Katrina si presenta con tutta la sua forza, è come se sollevasse il sipario ipocrita che nasconde la quotidianità americana fatta di indigenza o di vite ai limiti della sussistenza. A Bois Sauvage non c’è nessuna nave Argo che può portarli via (non c’erano nemmeno i camion per riparare gli argini, se è per quello) e, non fosse per altro, a Jesmyn Ward va riconosciuto il coraggio di aver toccato con mano un nervo scoperto, che pochissimi hanno voglia di affrontare e ricordare. Salvare le ossa è blues nelle danze perché Jesmyn Ward chiama a raccolta nei juke-joint Bobby “Blue” Bland, Denise La Salle, Little Milton per dispiegare “l’amore come certezza”, a questo stadio poco più che una sorta di fede. Salvare le ossa è blues nella forma perché il tono è caldo, ruvido, colloquiale, confidenziale e ogni paragrafo si snoda come una strofa che viene conclusa da una similitudine o da una metafora, quasi l’imitazione del classico riff posto in funzione di provvisoria sigla. Lo schema è reiterato lungo tutto il romanzo perché è proprio così che Salvare le ossa funziona, annodandosi al lettore attraverso la scrittura magnetica di Jesmyn Ward. Ed è blues nella sostanza perché il giorno dopo la tempesta accende un’alba livida sullo stato dell’unione al cospetto di Katrina: il sangue, il sudore, le lacrime, il coraggio e infine una dignità fatta di piccoli gesti sono raccontati a fior di pelle. Jesmyn Ward è un oracolo molto sensibile, capace di sottolineare all’infinito gli aspetti umani di ogni singolo personaggio, ma ciò non toglie che dietro le peripezie di Esch e China ci sia, di fatto e nella realtà, un quadro (incredibile e inconfutabile) di estrema povertà, di dolore e di abbandono nell’America all’inizio del ventunesimo secolo, come di quello precedente, e di quello prima ancora. Il nome di William Faulker (Mentre morivo ricordato fin dalle prime pagine) non è evocato invano.
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