Durante il suo ultimo discorso pubblico, il 15 maggio 1988, Raymond Carver spiegò, con la consueta concisione e chiarezza, quale fosse il rapporto che intendeva tra vita e scrittura, offrendo una delle regole fondamentali (e indispensabile) per sviscerarlo: “Fate attenzione allo spirito delle vostre parole, delle vostre azioni. E’ una preparazione sufficiente. Non c’è bisogno di altre parole”. Forse è per questo che i suoi racconti erano condensati fino all'osso e più andava avanti, più somigliavano a quelle poesie che sono sfociate in Blu oltremare: la sua scrittura sembra la ricerca di una luce, di una verità, con un’attenzione religiosa, ma che a tutti gli effetti è un solido, logico attaccamento alla realtà. Introducendo con Tom Jenks, American Short Story Masterpieces, diceva infatti: “Vorremmo avanzare l’ipotesi che il talento, il genio, addirittura, sia anche il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato”. C’è tutto Raymond Carver in quest’idea di arte: né fiction, né interpretazione della realtà, ma soltanto una visione più nitida, più chiara o, soltanto, diversa. Dentro questa luce (blu) la miriade di personaggi sempre in lotta per la sopravvivenza, con un dramma alla porta, con vite che sembrano non risolversi mai. Non c’è traccia di consolazione, non c’è alcun happy end, non ci sono eroi: i racconti di Raymond Carver vivono e si nutrono soltanto di parole che sono l’inizio, la fine e il mezzo con cui si può salvare qualcosa perché come dice Stephen Spender nell’epigrafe di L’artefice della sua sfortuna, “il mondo è il mondo e non scrive storie a lieto fine”. La poesia in sé, poi, è esemplare nel sottolineare il carattere appassionato e drammatico della voce di Raymond Carver che trova sempre una piccola luce, anche nei frangenti più dolorosi: “A lungo andare ogni cosa tranne la speranza ti abbandona, poi anch’essa allenta la presa. Non c’è nulla che ci basti, nel corso della nostra vita. Ma a intervalli, una certa dolcezza appare e, se gliene diamo la possibilità, prevale”. Nei toni di Blu oltremare si sommano in quello che è un saluto e un testamento. Una dimensione personale molto fragile e il colore dominante prescelto tra Quello che ti serve per dipingere indica molto del tenore crepuscolare delle sue ultime liriche. La poesia è, per Carver, una forma ancora più urgente e immediata, senza filtro, capace di raccontare due condizioni esistenziali contigue e parallele, la speranza e la partenza che si alternano nel corso di Blu oltremare. In conclusione a La ragnatela, c’è un primo commiato: “Fra breve, prima che qualcuno se ne renda conto me ne sarò andato di qui”. Poco dopo è proprio La speranza a colmare una prima distanza, inaugurando un viaggio attento ai Limiti (“Compresi che si può abituare a ogni cosa, e non diventare estranei a nulla”) e agli ospiti e con la consapevolezza mostrata in Vento (dedicata a Richard Ford) che, per quanto lontano si possa andare, viene sempre il momento di tornare: “Mi domandi se so l’ora. Certo che la so. È l’ora di rientrare”. Con la costanza di un respiro, Blu oltremare alterna la contemplazione per L’ora più bella del giorno (“Adoro queste notti d’estate. Persino più, penso, di tutte le altre ore. Il lavoro per oggi è finito. E nessuno ci può raggiungere, ora. Né mai”) e la pazienza del pescatore in Posate, (“Vado per un po’, poi mi fermo. Realizzando che da tantissimo tempo non mi ci sono avvicinato. C’è stata quest’attesa ad accompagnarmi, dovunque andassi. Ma ora si allarga la speranza che qualcosa si solleverà e spruzzerà. Voglio udirlo, e andare avanti”), per poi accettare che la vita ha Il suo corso e “noi svaniamo abbastanza presto”. Mescolati dall’assidua partecipazione di Raymond Carver, quelli che Tess Gallagher chiama “sentimenti contrastanti”, si abbandonano a un lungo, commovente tramonto che, con grande dignità, ci ricorda che “noi tessiamo il filo che ci è stato dato”, non molto di più. Da tenere a portata di mano, per ogni evenienza.
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