Garnet
Montrose, “il reduce più spettrale della letteratura americana”,
come l'ha definito Jerome Charyn, è un'ombra, vivo testimone della
sua consapevolezza: “Capite, io parlavo fra me e me, raccontandomi
la stessa storia che mi ero raccontato tante volte, ma in un certo
senso questo mi era di aiuto: cercavo di spiegare a me stesso come mi
fossi ritrovato in questo stato, quando ero saltato in aria, e tutte
le vene e le arterie si erano spostate dall’interno all’esterno
al punto che, così aveva detto senza mezzi termini il medico
militare, ero stato rivoltato come un guanto”. Vive nella casa di
famiglia e “vicino c’è l’oceano, i cui umori sembrano imitare
i miei: qualche volta anche se il cielo è luminoso mugghia, strepita
e ulula e perfino piange come un bimbetto. E a proposito di pianti,
il dottore dice che le ferite non hanno recato alcun danno reale alle
mie ghiandole lacrimali, ma io penso che su questo punto come su
tanti altri si è sbagliato di grosso perché non mi riesce di
piangere e se comincio a farlo provo un gran dolore alle suddette
ghiandole, come se qualche spunzone di roccia o pietra mi trafiggesse
i nervi al vivo”. La sua condizione, la gravità delle ferite, le
mostruosità lasciate incise sulla pelle, nelle ossa, nell'anima lo
rendono capace di vivere Come
in una tomba,
quindi senza alcuna paura, ma anche nel terrore di non poter
conoscere la gioia. Non sarebbe nemmeno poi lontana, perché Georgina
Rance, il suo primo amore, l'amore della sua vita, abita a pochi
isolati di distanza. E' sempre stata lì: Garnet Montrose le scrive
tutti i giorni e per mantenere l'epistolario assume di volta in volta
un messaggero. Ne resteranno due: Quintus Pearch, e Potter Daventry.
Quintus Isham Pearch è la voce della verità che svela un “wicked
messenger” perché, per dirlo con parole sue, arriva il momento che
il messaggero “se la scopa”. L'amore platonico di Garnet Montrose
viene sublimato dall'irruenza di Potter Daventry e, nelle visioni
esoteriche che ondeggiano tra le due case, Come
in una tomba prende l'atmosfera
di una torbida ballata folkie e “lo scopo della musica folk, vi
piaccia o non vi piaccia, è di farvi piangere”. Di sicuro è
emozionante e ha ragione Jerome Charyn quando dice che: “James
Purdy è uno degli scrittori americani più intransigenti. Lavora in
un suo angolo buio e costruisce le sue semi-favole intorno a un
universo corrosivo dove i figli cercano i propri padri e cadono
vittime di una catena senza fine di ciarlatani e pazzi”.
L'identikit collima alla perfezione in Come
in una tomba:
la dimensione irreale del sopravvissuto (“Se
davvero ho una memoria, come dicono, è sepolta sotto le viscere
della terra perché in realtà fatico a distinguere un giorno da
quello successivo”) si moltiplica nel cercare una risposta nella
lettura perché, oltre alle missive per Georgina Rance, i messaggeri
hanno il compito di leggere per lui e “tutti sanno del mio segreto
di leggere libri che non capisco a fondo, di cui non colgo le parole
con esattezza, ma non credo che qualcuno abbia scoperto dove vado
quando tutto è buio e silenzioso”. Sono quelli gli anfratti che
esplora James Purdy con la scrittura asciutta, ruvida, tagliata a
colpi d'ascia, perché come scrive ancora Jerome Charyn: “James
Purdy non celebra le meraviglie del nostro quotidiano, ma mette il
dito sulla piaga, affronta le paure della nostra vita notturna,
l’aritmetica scabrosa dei sogni”. Non è un lavoro facile.
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