In
una delle appendici della sua documentatissima biografia, Arthur Hoyle elenca
un bel numero di università americane a cui ha scritto per capire se Henry
Miller è ancora consigliato, letto, studiato, adottato. Le risposte sono state
limitate, come se l’ostracismo nei suoi confronti si fosse soltanto evoluto in
una forma di indifferenza, più subdola ed elaborata, perché non consente il
ricorso alla corte suprema. L’unico a tentare un’analisi e insieme un
riconoscimento è stato Tobias Wolff: “Miller ha avuto in un influsso così
grande che è quasi impensabile che i suoi libri non vengano insegnati, ma la
realtà è che purtroppo credo sia così, almeno per quanto ne so qui a Stanford.
Forse non è poi una cosa tanto negativa: scoprire Miller è scoprirsi in preda alla
disubbidienza, alla sovversione, alla franchezza sfacciata e irrispettosa e
alla comicità rivoluzionaria. E’ possibile coltivare questi sentimenti con il
beneplacito delle sobrie autorità istituzionali? Non sarebbe una specie di
antisovversione? E’ solo un’idea”. I motivi dell’esclusione li raduna lo stesso
Arthur Hoyle e sono già una parte pesante della sua storia: “Miller criticò con
veemenza l’America e ne ridicolizzò i costumi sessuali, ma lo fece dalla
posizione di un uomo profondamente innamorato dell’idea di America, il quale sentiva che tale
idea, incarnata in Whitman, fosse stata tradita dagli imperanti interessi
politici ed economici. L’America ha reagito sulla difensiva e continua a farlo;
se non ti piace il messaggio, distruggi il messaggero”. Il suo ritratto è molto
efficace proprio perché ripropone legami e intersezioni letterarie dell’epoca
attraversata da Henry Miller, dalle sue fortune critiche ai viaggi, non esclusi
tutti gli aspetti polemici, sia nel contesto europeo, ovvero parigino, sia in
quello americano, con particolare riguardo alla vita di Big Sur. La ricchezza e
la varietà dei dettagli, i continui richiami alla voce di Henry Miller,
l’attenzione alla scrittura, allo stile e, molto meno (vale a dire lo stretto
necessario), agli aspetti personali e alle sfumature più pruriginose, rendono
la biografia scorrevole e coerente con la realtà della sua esistenza, compressa
nell’idea che “l’arte di vivere implica un atto di creazione”. I matrimoni, le
difficoltà economiche, la lunga battaglia contro la censura (“Ho la sensazione
che nulla verrebbe considerato osceno se gli uomini vivessero fino in fondo i
loro desideri più segreti”), la sua natura graffiante (“Che paese meraviglioso
l’America. Ti fotte a ogni passo”) e la ricostruzione di Arthur Hoyle
combaciano con l’intimo dettato di Henry Miller: “L’intera mia vita si spiega e
allunga in una mattina non rotta né infranta. Scrivo dal nulla ogni giorno.
Ogni giorno un mondo nuovo è creato, nuovo e separato e completo, e lì sono io,
tra le costellazioni, dio così pazzo di sé da non far nulla se non cantare e
plasmare nuovi mondi”. Una biografia adatta per conoscerlo e per conoscerlo
meglio, per leggerlo e per rileggerlo perché, come diceva Lawrence Durrell,
“quello che ci offre è una conquista indiretta, trovare noi stessi tra le sue
pagine”.
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