I
sette frammenti radunati sotto L’angelo necessario sono l’unico esemplare in prosa di Wallace Stevens e
uno strumento vitale per comprendere l’essenza dell’arte. “Una forza capace di
generare fluttuazioni della realtà prive di misticismo è una forza indipendente
dal desiderio che si può avere di innalzarla. Non he ha bisogno. Si deve solo
descriverla, come meglio si può” ed è quello che prova a fare Wallace Stevens
in questi Saggi sulla realtà e l’immaginazione: il poeta, uno dei più grandi poeti americani del
ventesimo secolo, concede con generosità libero accesso agli ampi spazi dei
suoi percorsi, rispondendo convinto all’idea che “uno dei compiti da sempre
assegnati al poeta è quello di scoprire attraverso il proprio pensiero e le
proprie emozioni che cosa sia per lui, in quel momento, la poesia. Di solito è
nella sua poesia, con la poesia stessa, che egli rivela le sue scoperte”. Le
liriche di Wallace Stevens sono, in effetti, l’incredibile che serve per
credere, o la resa incondizionata all’irreale, almeno “ogni volta che ci è
possibile farlo”, mentre la profondità delle riflessioni allineate con L’angelo
necessario sembrano davvero
delimitare i confini dell’immaginario e dell’infinito assedio a cui è
sottoposto perché “la vita, non l’artista, crea o rivela la realtà”, idea
ribadita ancora quando dice che “se l’immaginazione non trae forza dalla
realtà, non ha forza alcuna”. Per rivelare questo tratto, che si appoggia a una
fittissima filigrana filosofica, Wallace Stevens non si confonde in voli pindarici
o in contorte spirali di elucubrazioni. La sua scrittura, sia poesia, saggio o
critica, si avvale di una chiarezza, di un’espressione limpida e naturale,
ricca e nello stesso tempo cristallina, come se fosse sempre l’inizio di
qualcosa che sta “sempre iniziando” e non avesse bisogno altro, se non di
rendersi viva. Pare logico quindi che, tra le varie forme di realtà e
immaginazione archiviate con L’angelo necessario, tocchi proprio alla musica, il fenomeno più
istintivo e spontaneo, a tenere insieme gli accordi dell’esperienza perché,
scrive un’illuminato Wallace Stevens, “la musica influenza ciò che vediamo, lo
rende ambiguo, a volte simile a qualcosa, a volte a qualcos’altro. Nel
frattempo, però, la storia viene narrata e la musica ci esalta, la identifichiamo
con la storia ed essa diviene la storia e la velocità con cui la seguiamo.
Quando la musica cessa, allora ci accorgiamo che abbiamo avuto un’esperienza
assai simile alla storia narrata, come se avessimo preso parte a ciò che è
avvenuto, proprio come se avessimo ascoltato una recitazione toccante con una
comunione di sensi assoluta. La musica comunica le emozioni, e non sarebbe
stato diverso se si fosse trattato della musica della poesia o della voce del
protagonista che racconta una storia o che dichiara la propria idea del mondo”.
E’ quello che serve, che è necessario
“a restituire all’immaginazione ciò ch’essa va perdendo a un ritmo
catastrofico, e sostenere ciò ch’essa ha guadagnato”. Da studiare.
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