Billy Collins scrive una poesia che attinge al quotidiano perché crede che la poesia sia e debba essere “una parte della vita quotidiana”. Detto questo, anche nei circoscritti limiti casalinghi, la poesia resta un punto di domanda perché “è una battuta di pesca. Non sai che cosa c’è la fuori fin quando non cominci a scrivere”. La sua linea di partenza è a un passo e, come scrive in Nessuna cosa, è “questo amore per le cose minime, un po’ naturale dallo sguardo lento dell’infanzia, un po’ una posa letteraria”. L’autoironia e uno spiccato senso dell’umorismo sono evidenti già dalle prime liriche di Balistica (per non dire del titolo) e raggiungono un loro apice in Carpe Diem, una ballata surreale e pungente di cui vale la pena riportare almeno un paio di versi: “Vivere la vita appieno è l’unico modo, pensavo mentre sedevo accanto a un finestrone e picchiettavo con la matita la cupola di un fermacarte di vetro”. Con i luoghi comuni, con le filastrocche, con le Poesie d’altri (e i loro nomi, da Robert Frost a Wallace Stevens) Billy Collins gioca in modo pop e popolare, persino divertito quando, cercando di decifrare Famiglie della vasca da bagno dice: “Non è una frase che mi sono inventato, anche se mi avrebbe procurato piacere scrivere quelle parole in un quadernetto per poi guardare in alto al cielo chiedendomi che cosa volessero dire”. La domanda è protagonista anche nelle poesie ispirate dalla prassi quotidiana, un bicchiere d’acqua, l’osservazione di minuscoli eventi, l’assemblaggio di un pulviscolo di sguardi, il tratteggio di piccoli momenti, persino “il tenue stridulo tintinnio, del tungsteno nell’unica lampadina che ha lo stesso fruscio degli alberi” raccontato in Aubade. E’ lì che la poesia diventa parte concreta della realtà: può esssere “occasione in più per interrompere per un momento quel che si sta facendo e riflettere sul mio essere qui in terra” e la speranza che “abbiamo qualcosa di meglio di tutta questa turbolenza che ci conduce barcollando a un finale disastroso”. Billy Collins è stato anche più preciso nella definizione: “L’esperienza di leggere una poesia dovrebbe contenere una sensazione di spostamento (o di essere spostati) da ciò che è familiare a ciò che è sconosciuto, dall’agio al disorientamento. Rileggere la poesia significa rifare l’esperienza di quello spostamento. Perché il disorientamento sia n piacere, un concetto strano nell’epoca dei navigatori satellitari, uno deve sentire il sollievo di essersi tolto il casco delle opinioni che tende a indossare ogni giorno”. Per quanto immediata e coinvolgente, è una poesia molto distante da quello che Billy Collins chiama “il chiasso dell’auto-pubblicità” e gli estremi che Billy Collins definisce con Balistica sono abbastanza netti. Da una parte, quella del lettore, “non si legge poesia per scoprire qualcosa dell’autore, ma si legge per scoprire qualcosa di se stessi”. Dall’altra, a maggior ragione, una rivelazione che andrebbe ribadita più e più volte: “Non scrivo per la platea, ma per la pagina silenziosa”. Dovrebbe essere sempre così.
Ciao Marco,
RispondiEliminati seguo dal Mucchio degli anni buoni.
Ti ho seguito con sommo piacere anche su Pulp.
Poi su Rootshighway. Il Busca non mi è mai piaciuto, sorry.
Mi sono chiesto... ovvio e condivisibile il motivo per cui non scrivi più sul Mucchio (che non leggo più da anni), ma perché non scrivi più su Pulp? La rivista negli anni ha perso sempre di più senza di te, oltre ad altri ottimi collaboratori che sono spariti senza motivo..
Poiché il tuo blog è puro nettare per i miei gusti letterari (ma anche musicali quando scrivi altrove), mi chiedevo perché in Italia i migliori finiscono ai margini. Troppo innamorati di Darkness?
Comunque grazie per le tue recensioni e la tua passione. Sono per me luce viva in questi tempi bui. E non è poco.
Grazie per avermi seguito fin qui, il viaggio è lungo ma "the road goes on forever" e non so se sono migliore o no, ma ai margini sto sempre meglio.
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