lunedì 24 maggio 2010

Richard Grant

“Il viaggio americano di scoperta finisce in uno di questi due modi: con una sensazione di speranza o nella disperazione più nera. Ultimamente, dato che il mondo è diventato sempre più cupo, si è generalmente concluso nell'ultimo modo, senza che il suo percorso abbia condotto da nessuna parte. Il nomade dei nostri giorni di solito non scopre altro che il nulla, l'equivalente spirituale del paesaggio nichilista che lui stesso ha attraversato”: ci sono i fans dei Phish e i DeadHeads, ci sono gli hobo che salgono e scendo dai treni (rischiando la vita ogni volta), i pensionati che inseguono le belle stagioni sui loro motorhome, i camionisti che vivono sul proprio, i fuggitivi e gli sbandati, quelli a cui Jack Kerouac è rimasto nel cuore e quelli che si trovano a loro agio soltanto sui bordi della strada. Il "viaggio con i nomadi americani" di Richard Grant è uno strano ritratto di quella nazione che chiamiamo ancora America. Il suo punto di partenza (perché in questo libro di arrivare non se ne parla proprio) sembra essere la definizione di Gertrude Stein: "Provate a immaginare uno spazio in movimento". Lui stesso, incapace di non sentirsi prigioniero tra quattro mura e con una parvenza di legame stabile, ha provato la vita del moderno nomade, pensando agli antichi viaggiatori (sia i conquistadores, sia i nativi), guidando macchine a noleggio, avvicinando e conoscendo molti di questi vagabondi nati per correre. Ognuno con la propria storia e i suoi motivi per non confinarsi in una casa dolce casa, ma tutti protagonisti di legami culturali complessi, che affondano nelle stesse radici storiche degli Stati Uniti d'America (questo è il nome corretto) e che raramente, o quasi mai, si riconoscono nelle istituzioni ufficiali. Anzi, tendono proprio ad essere fuorilegge e il loro non fermarsi mai è un anelito costante alla libertà. Il trucco di Richard Grant è abbastanza semplice: nasconde un voluminoso saggio in un diario di viaggio (molto personale nelle sue conclusioni), ma, pur essendo un espediente relativo, va direttamente incontro al lettore che scorrendo con agilità le quattrocento pagine di Senza mai fermarsi avrà modo di scoprire, oltre all'intima natura dei nomadi americani, anche l'essenza di personaggi straordinari come Cabeza de Vaca o Joe Walker, l'importanza dei bisonti e dei cavalli, dei sentieri e della luce, nonché come schivare le bottiglie di birra (vuote) lanciate dalle auto in corsa. Un ricco vademecum per tutti i vagabondi e un interessante spaccato di un'America perduta (outsider, solitaria e ribelle).

 

 

 

 

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