giovedì 27 maggio 2010

Allen Ginsberg


Il diario del crepuscolo di un poeta: le malattie, l’età, la fatica non cambiarono l’attitudine del bardo. Fino all’ultimo giorno utile, Allen Ginsberg continuò a scrivere e a reinventarsi un rapporto con il mondo e i suoi ultimi anni sono ripercorsi in un “reality” raccontato da lui stesso, una sorte di testamento spirituale che prende la forma di un diario scritto giorno per giorno in forma di poesia. Nonostante la decadenza fisica, dovuta all’età e alla malattia, Allen Ginsberg non lasciò nulla di intentato, non perse niente della sua proverbiale generosità, trasformò persino le difficoltà quotidiane, ancora più dolenti se applicate a incombenze normali, a piccoli e del tutto irriverenti segnali autobiografici. Ci vuole una leggerezza geniale per presentarsi così: “Allen Ginsberg sta per mente confusa che annota titoli di giornale di Marte”. Scriveva senza esitazioni, senza risparmiarsi, con una verve immutata e spregiudicata, nonché lucidissima, sempre: le richieste “democratiche” al nuovo presidente americano che aprono questo diario degli ultimi giorni, non tradiscono alcuna titubanza nella critica travestita da poema (“L’iper-razionalismo riduce la naturale complessità della natura tramite grette astrazioni concettuali; iper-razionalizzazione, iper-industrializzazione e iper-tecnologia creano caos”) che ha segnato molte delle sue visioni più recenti. Pubblico e privato si intersecano e si confondono nella bellissima dedica agli amici della Beat Generation (City Lights City), nella moltitudine di appunti a raccontare una personalissima odissea fisica con un estremo amore per la poesia e per la vita fanno di questo libro una sorta di testamento spirituale. Tra il consueto omaggio all’amatissimo Bob Dylan (“Dylan sta per l’Individuo contro l’intero creato”), l’ennesima stoccata al mondo di oggi (“Televisione sta per gente seduta nel soggiorno che guarda quel che fa di solito”) e una fatale constatazione (“Fortunato che posso pensare, e che in cielo può nevicare”), più di ogni altra lirica è una domanda a rappresentare il senso ultimo di una voce importante, indimenticabile e indispensabile: “Chi rappresenterà quelli che vivono nelle macerie, chi dormirà in quella capanna semicrollata nel chiarore di luna piena quando nubi primaverili passando coprono la faccia dell’uomo nella luna alla fine di maggio?”, e l’elenco in risposta non è lunghissimo. Però, chiederselo ancora, a un passo da fine, non è da tutti ed è qualcosa in più del verso di una poesia. Un gesto di nobiltà.

Nessun commento:

Posta un commento