giovedì 27 maggio 2010

Jack London

Il viaggio raccontato e raccolto da Jack London nei suoi giornali quotidiani è l'antenato primordiale di tutti i pellegrinaggi americani. Da John Steinbeck a Woody Guthrie, attraverso James Agee e infine Jack Kerouac e compresi testimoni oculari come Tom Kromer e Bertha Thompson, La strada ha compiuto infinite trasfusioni di "sangue di americano libero", come lo chiama Jack London, nel corso di oltre un secolo. Il suo modello di osservazione, che vale anche per la narrazione, è nello stesso tempo dentro e fuori. Dentro, da protagonista di pericolosi arrembaggi ai treni, di soluzioni giornaliere dovute un po' alla fortuna e un po' alla furbizia, di un'arte della sopravvivenza che si traduce in una sorta di infinita e faticosa resistenza umana. Per gli hobo, il viaggio sui treni è un rischio mortale in ogni singolo momento del giorno. Oltre alla naturale pericolosità di massa per velocità dei vagoni, su cui salire è sempre un tiro di dadi, è la caccia ai liberi viaggiatori da parte dei ferrovieri e della polizia l'elemento di sfida, che non risparmia nessuna violenza. E' anche il "destino manifesto" dell'hobo, l'outsider per eccellenza che si nega all'America costituita, rifiutando l'imposizione delle regole e della morale comune e che non nasconde i suoi tratti polemici. In questo c'è una consapevolezza che distingue un hobo da un qualsiasi vagabondo, anche se la distinzione può sembrare aleatoria. Un hobo come Jack London riesce ad attivare anche uno sguardo da fuori, sapendo che "la strada è una delle valvole di sicurezza attraverso la quale si espelle lo scarto dell'organismo sociale". La definizione non è l'unica utile e pertinente perché l'opposizione (risoluta e polemica) di Jack London alle fratture umane e sociali provocate dalla crescente industrializzazione (e militarizzazione) dell'America è continua, costante e valorizzata da una scrittura precisa e fluente, che non ha bisogno di altre presentazioni. La bellezza della lotta, che è poi quella della strada e della scrittura, sta infine nell'esortazione, quanto mai attuale nonostante siano passati cento anni, di John Steinbeck che dice, quasi formulando un veloce saluto "on the road": "Dunque stiamo allegri e cerchiamo di essere onesti". Con una bella copertina, la nuova edizione aggiunge ai "diari di un vagabondo" altri quattro inediti (tra saggi e racconti) che rendono omaggio all'importanza di un libro fondamentale nell'aver creato, attraverso la strada e senza tante metafore inutili, un sinonimo di libertà.

 

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