mercoledì 2 ottobre 2024

Richard Ford

Per Frank Bascombe si tratta di “un ultimo tentativo di felicità”: in Per sempre, il personaggio di Richard Ford, all’ennesima svolta della sua esistenza, si trova ad affrontare una prova definitiva. Il figlio Paul, già protagonista durante Il giorno dell’indipendenza, è ormai un malato terminale e Frank, nei giorni intorno a san Valentino, lo convince a intraprende un viaggio verso Mount Rushmore. È il rapporto padre/figlio, come un segmento significativo a diventare un laboratorio di emozioni che vengono distillate da Frank Bascombe con una voce ipnotica, mai invadente, quasi un fruscio perché “essere padri è una lotta, in qualunque lingua”. Paul, un tempo un adolescente fragile, è diventato un adulto ancora più complesso e aggravato dalla sclerosi laterale amiotrofica. Fin da bambino, è stato “un abile artista della fuga dal grigio quotidiano”, e tale è rimasto, tanto da apostrofare il padre con un altro nome (“Lawrence”) e di definirlo senza mezze misure: “Sei il mio stronzo preferito”. Detto questo, Frank è tenace quanto basta da trascinarlo su un camper per la loro piccola odissea. La destinazione, è facile intuirlo, è relativa, dato che “si parte con una meta ma poi si finisce chissà dove”. La “logistica umana”, strana materia che affascina Paul, sulla strada, da un motel all’altro, parcheggio dopo parcheggio, diventa una sorta di ordalia, per entrambi: le fibrillazioni diventano più acute, quasi dolorose, e ogni tappa, ogni piccolo episodio on the road si caratterizza per le reazioni di Frank e Paul. Le situazioni vanno dal comico al tragico e la tensione tra padre e figlio è ai massimi storici, così come quella con l’intero mondo là fuori. C’è un legame da riparare e succede nei luoghi più improbabili, come ammette Frank: “Noi due ci troviamo bene in un centro commerciale. Anche se in molti luoghi pubblici, e per motivi più che giustificati, ho ormai la sensazione che qualcuno da qualche parte stia per spararmi”. Un mood che si riflette nella desolazione suburbana dell’America moderna: centri massaggi, concessionari, sportelli bancari e tavole calde sono la cornice tale da convincerli che “tutte le metropoli e le cittadine sopravvivono e prosperano orientando il comportamento umano verso un’idea generica e artificiosa”. Quello che succede nel tragitto verso “un’istituzione posticcia” come il Mount Rushmore ed è un tentativo di aggrapparsi al parossismo delle suggestioni e delle inquietudini per cercare un significato di fronte alle “imponderabili circostanze della vita”. La strada offre molte occasioni e tra i viaggiatori si sviluppa, con molta fatica, una complicità che deve tenere conto delle telefonate, tra cui quelle complicaet con Clarissa (la figlia), degli incontri e più di tutto del fatto che “la casualità, in altre parole, va bene in qualunque dose riesca sopportabile. Ma a un certo punto è meglio, forse necessario, fissare ognuno le proprie coordinate”. Il contesto, nonostante l’ampiezza delle praterie americane, resta limitato e alla fine è più utile a tutti e due accontentarsi, tanto che, all’alba, “la novità della giornata e il bel tempo bastano già a rendere tutto un’avventura”. Il vero motivo che Per sempre mette in chiaro, permette di rivedere tutta la storia di Frank Bascombe, tornando fino a Sportswriter: “Dare un senso alle cose è un processo inesauribile di riordino e di ri-riordino. Un processo che per natura è provvisorio e che ben presto soppiantiamo con qualcosa di meglio”. La continua introspezione di Frank Bascombe arriva a livelli critici, con “l’età”: Per sempre è contorto, prolisso, eccessivo, perché, davvero, “a volte guardiamo la vita troppo da vicino”, ma è anche intenso, coerente e coraggioso nel raccontarla. E pochi scrittori, soprattutto in America, hanno saputo affondare nella sfera intima e personale come Richard Ford, che attraverso Frank si concede persino una battuta tanto autoironica quanto memorabile: “Leggere libri lunghi, complessi e incomprensibili per isolarsi dalla cattiveria e dall’ingiustizia arbitraria del mondo ha i suoi vantaggi”. Il segreto, se ancora ce n’è uno, è tutto qua.

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