Il matrimonio è un’incombenza sociale. Gli uomini sono tutti transitori. Le crisi di nervi sono all’ordine del giorno e l’amore è la grande incognita di Voglia di tenerezza: ne sono tutti alla ricerca, ma seguono le strade e le tracce sbagliate. Il desiderio, l’attrazione, persino la conoscenza e l’amichevole compagnia di anni e anni, non sono sufficienti e ogni gesto torna a ripetersi attorno a goffi tentativi, spesso impetuosi, ma destinati a fallire. Nel complesso, un coro tragicomico composto da una piccola folla costretta a rilanciare un bluff che ha pochissime speranze. È un’incapacità latente e diffusa, solo Aurora Greenway riesce a nasconderla dietro a una maschera brillante e mutevole come il suo umore e grazie alla laconica certezza per cui “lo scopo della civiltà è procurarsi qualcuno con cui bere il tè alla fine di una serata”. Per quanto insopportabile, Aurora celebra quell’energia che spinge uomini e donne innamorati alle catastrofi. Vedova, volubile, con una mezza dozzina di pretendenti, Aurora conserva un Klee e un Renoir, ed è una forza catalizzatrice e magnetica che attrae e respinge nello stesso tempo, con la convinzione che “la vita era ancora interessante, ed era meglio di niente”. È perennemente al centro dell’attenzione (e anche dell’azione): tutti ruotano intorno a lei, ma con molti margini di deviazione. Quando lei attrae qualcuno, e succede spesso e volentieri, le posizioni degli altri personaggi convergono insieme verso un nucleo di forze indefinite. Nei passaggi in cui Aurora si adombra e si ritrae in un angolo, le relazioni e le connessioni deflagrano e Voglia di tenerezza ha momenti rocamboleschi, come l’irruzione di Royce Dunlup, il marito di Rosie, la storica governante di fiducia, in una sala da ballo o il suo accoltellamento, ma il più delle volte si snoda attorno ai dialoghi sferzanti, in cui s’impone il tono di Aurora Greenway. L’eloquio è capace di mettere in soggezione l’intera Houston, Texas: le sue frasi fatte, le battute lapidarie, i silenzi, sono espressione di un carattere inafferrabile, ma ricco nelle sue formalità, che le permettono di saltare letteralmente fuori dalle pagine e avvinghiare il lettore. In questo c’è molto dell’arte sopraffina di Larry McMurtry che fa vivere i personaggi, le loro identità, le voci e i tic con una scrittura ricca ed essenziale nello stesso tempo. Non c’è alcun spreco di parole o immagini: i dialoghi sono fittissimi, senza esclusioni di colpi e sono frutto di un’abilità nel ricondurli nei limiti del racconto che è straordinaria, come se fosse possibile vedere i protagonisti muoversi al rallentatore, mentre camminano sull’orlo del precipizio. Succede nella frattura tra Royce Dunlup e Rosie, una liaison coniugale tormentata e pericolosa che scorre parallela, e soprattutto nel rapporto tra Aurora e la figlia Emma. Un confronto portato all’ennesima potenza, dalla scena in cui lei dice alla madre che è rimasta incinta all’ultimo colpo di coda del romanzo, quasi un’altra storia che sfugge al personaggio principale di Aurora, ma nello stesso tempo la celebra per l’ennesima volta. Mentre Emma diventa a sua volta protagonista, nella sfumatura finale di Voglia di tenerezza, Aurora si trasforma, ma resta ancora sulla linea più avanzata dei legami, perché “nessuno vuole una madre rassegnata”. In quegli attimi conclusivi, e dolorosi, Aurora, più di ogni altro, si accorge che “la vita sarebbe andata avanti un altro po’”, lasciandosi alle spalle una lunga scia disordinata di emozioni, catturate alla perfezione da Larry McMurtry.
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