mercoledì 13 ottobre 2021

Steven Blush

Premesso che Please Kill Me di Legs McNeil e Gilliam McCain, resta il caposaldo e un giro di boa per chiunque voglia raccontare una rivoluzione musicale, New York Rock di Steven Blush seguendo proprio quell’impronta è una storia orale che ripercorre il suono della città, che è in realtà molti sound diversi, anche se il ritmo del rock’n’roll è la linfa sanguigna che è rimasta più a lungo, nel tempo, e più diffusa nei quartieri. New York è vista contemporaneamente dall’alto e dal basso, come qualcosa di vivo e pulsante, di animalesco, persino, con un fermento che parte dall’evoluzione urbanistica della metropoli, dalle attività immobiliari, ovvero dalla speculazione edilizia e dalla gentrificazione di intere aree e dall’alternarsi dei flussi di abbandono e occupazioni di edifici fatiscenti, decadenza e affitti ridotti, e poi gli interventi perentori delle istituzioni e del mercato a spazzare via tutto. Ma finché è durata, e Steven Blush prende come capolinea la definitiva chiusura del CBGB’s, lo storico locale sulla Bowery dove è successo tutto, ormai nel 2006, nei bassifondi si sono susseguite  ondate musicali che via via hanno portato a galla le singole storie di un’umanità fluttuante, che viveva soprattutto nelle strade, a caccia di un’emozione, una sensazione, un’invenzione. Come un netturbino all’alba del mattino dopo, Steven Blush raccoglie tutto, facendo soltanto un minimo sindacale di cernita: legami e scontri, disturbi e ossessioni, abusi e disastri, canzoni e rumori ed elenca le vite brevi e brucianti di dozzine di rock’n’roll e quelle, altrettanto fulminee, delle tappe del nightclubbing. Ne emerge la cartografia di come una repubblica underground indipendente e autonoma, che assorbe il carattere cosmopolita della città con tutte le tensioni e ha il “vaffanculo facile” come parola d’ordine e strumento di combattimento nelle strade. Come dice lo stesso Steven Blush, New York Rock “è una confluenza di dure realtà urbane, predisposizioni artistiche volubili, auto-promozione e rituali di intossicazione”. Il corollario di morte (per violenza, per droga, per AIDS) che cala un sudario sulla città è riportato fedelmente, e senza censure, ma nulla toglie all’inarrestabile proliferare di musica che ha visto protagoniste declinazioni e deformazioni estreme e radicali, destinate a diventare dei classici moderni. Il ruolo dei Velvet Underground su tutti, per aprire una saga di generazioni nel rapporto biunivoco tra rock’n’roll e arte che ha generato il magnetismo di New York, è irrinunciabile. Forse in New York Rock manca all’appello un approfondimento dei legami in parallelo con le realtà artistiche, peraltro annunciati spesso con i nomi di Andy Warhol, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat. Ma si capisce che il flusso corrisponde più all’istinto che a una ragione storiografica, ed è così che Steven Blush interpreta quel magma che ha cominciato ribollire negli scantinati e nei vicoli: “Il punk si è rapidamente evoluto in un movimento onnicomprensivo per anticonformisti dall’attitudine provocatoria. Un aspetto fondamentale del punk era la sua forte reazione alla fuga dalla realtà diffusa dagli hippie degli anni Settanta. I punk abbracciavano la realtà, catturando l’insolenza della scena glitter nel tentativo di rivitalizzare il rock. Ecco perché i capelli corti, la musica veloce, e il vaffanculo facile si sono rivelati così accattivanti per qualcuno, e una vera minaccia per lo status quo”. Sono i New York Dolls (forse più dei Ramones) a scatenare l’inferno e a sovvertire le regole, costumi compresi, sia secondo Johnny Thunders (“I Dolls hanno dimostrato che non bisogna essere geni della tecnica per suonare rock’n’roll. Tutto dipende da stile, energia e attitudine”) che David Johansen (“Avevamo una visione molto informale del mondo”). Poi non si fanno sconti e la lista dei caduti, il dissolvimento di intere comunità e l’arrivo di una nuova epoca, “da quanto hanno sbiancato Manhattan” (Iggy Pop dixit) rende il lavoro di Steven Blush un documento grezzo, non filtrato, molto prezioso. Come diceva Lydia Lunch: “New York era sporca, violenta, fallita, invasa dalle droghe e ossessionata dal sesso, in una parola, incantevole. Malgrado ciò, ridevamo tutti, perché o ridi o sei morto”. Ecco, questa è New York Rock.

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