giovedì 27 maggio 2010

Kevin Baker

“Abbiamo quest'immagine” ha detto Kevin Baker parlando di Dreamland, ovvero de Il paese dei sogni “degli immigranti che arrivavano in America che, pur sofferendo, lavorando duro potevano arrivare a qualsiasi grande successo. In effetti, questa è stata la lunga lotta di diverse generazioni, ma anche quando gli immigrati riuscirono ad avere successo, non bisogna dimenticare il prezzo che hanno pagato, non soltanto separandosi dalle proprie culture e dai linguaggi, ma anche dalle famiglie”. Romanzo storico che si prende più di una libertà, Il paese dei sogni racconta l'epopea di Coney Island del primo Novecento, quando le navi provenienti dall'Europa la vedevano sfavillare di luci mentre ancora erano al largo nell'Atlantico. L'american dream li aspettava, ma non sarebbe stato né semplice né comodo: attraverso una folla di personaggi picareschi e volubili, Kevin Baker racconta la vita di Coney Island restando costantemente nel tracciato degli eventi storici, ma concedendosi tutte le variazioni di percorso necessarie anche perché come ha detto lui stesso "ho sempre pensato che si possano creare personaggi e cambiare un po' le cronologie degli avvenimenti, se tutto ciò serve a far capire l'essenza del romanzo e della storia". Si può essere tranquillamente d'accordo anche perché Kevin Baker ama partire dal basso, dalle strade, dal reticolo di vicoli per raccontare le piccole, grandi storie della comunità ebraica del Lower East Side, le bande di gangster, i primi scioperi, Sigmund Freud e Carl Jung, poliziotti e giocatori d'azzardo, strilloni e politici in una Babele linguistica (inglese, yiddish, cinese, italiano). "Vivere a New York un secolo fa significava sentire ogni giorno per strada decine di lingue diverse" scrive infatti Kevin Baker per introdurre il breve e utile glossario in appendice e la sua ricostruzione scorre via felicemente perché della vita di Coney Island, del Il paese dei sogni racconta nei dettagli i passaggi quotidiani, le piccole scoperte e le grandi invenzioni e un paio di storie d'amore che non guastano mai. Un libro così non guasta mai perché ricorda (a noi) che siamo stati degli immigranti e (agli americani, e non solo) che abbiamo tutti la memoria corta, e non solo New York come dice Big Tim Sullivan, uno dei protagonisti principali di Il paese dei sogni.

Nessun commento:

Posta un commento