giovedì 27 maggio 2010

Nelson Algren

E' una lunga ed intensa discesa negli inferi di un'America smarrita e violenta, povera ed eccentrica, cupa e durissima dove i disperati viaggi sui vagoni dei treni merci, la prostituzione nelle vie torbide di New Orleans e mille piccoli espedienti della lotta quotidiana per la sopravvivenza ("Tutti devono mangiare. Tutti devono morire") ispirano un'umanità composita e pittoresca, dolente e malinconicamente reale. L'affresco di Nelson Algren è, in forma narrativa, l'equivalente di quello che James Agee ha fatto con il reportage, Walker Evans con le fotografie, Woody Guthrie con le canzoni: raccontare luoghi in cui "tutto era perduto. Perduto già da tanto tempo, in qualche terra più fredda. Perduto di nuovo dalle generazioni successive". L'unica speranza resta la saggezza (e l'ironia) della street life, per raccontare "periodi duri e facili, periodi trascorsi tra quattro mura e periodi trascorsi nei campi di lavoro, periodi trascorsi in prigioni federali e statali, periodi trascorsi in prigioni di contea, periodi brevi e periodi di pacchia, periodi tranquilli e periodi di pressione, periodi in prigioni grandi, piccole medie, periodi di lavoro in fabbrica e periodi di buona condotta, vale a dire, per esserti fatto un culo così a lavorare". La scrittura di Nelson Algren, vivida e intensa, sembra documentare, in tutti i dettagli e non senza una certa crudezza, tutti i momenti della vita spericolata di Dove Linkhorn, il country boy che spera nel colpo grosso e salta da un equivoco all'altro senza soluzione di continuità. E' un narratore, Nelson Algren, per cui anche la descrizione di un risveglio malaticcio (di Dove, appunto) diventa l'occasione per sfoderare due o tre frasi taglienti, che vanno subito a segno. Creando un'atmosfera nel giro di quattro righe: "Una mattinata così umida che il sale era una specie di poltiglia nel suo barattolo, Dove si svegliò sentendosi come se fosse stato masticato a lungo e poi sputato. La sua giacca a righe, attaccata a un chiodo piantato nella parete, sembrava qualcosa che fosse stato ripescato nel fiume. Ogni cosa su cui gli cascasse l'occhio sembrava o ripescata nel fiume o sputata in terra". Figurarsi nell'arco delle quattrocento pagine: come è giustamente ricordato da Russell Banks, nell'introduzione, aveva motivi da vendere Nelson Algren quando presentava Walk On The Wild Side come un libro che "chiede come mai dagli individui si sviluppano talvolta esseri umani migliori di quelli che non sono mai stati smarriti in vita loro". Un'intuizione che, spostando le coordinate da New Orleans a New York, avrebbe ispirato Lou Reed nella sua esplorazione dei sottofondi, a partire proprio dal'omonima Walk On The Wild Side che da qui prese il titolo.

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