La New York City di Richard Price somiglia molto a quella dipinta da Mondrian solo che invece delle intersezioni colorate, la Lush Life è definita da invisibili parallele che s'incrociano senza sfiorarsi, una moltitudine di personaggi che Richard Price lascia liberi per le strade e solo in apparenza un coro tragico perché una somma di solitudini e di disperazioni non fanno una comunità e nemmeno una città, sono soltanto il contorno della New York City del ventunesimo secolo, prima, unica e vera protagonista de La vita facile. Tutto comincia (e finisce) in strada: una rapina che finisce male e diventa un omicidio e i detective delle polizie (il plurale è obbligatorio visto la quantità e la varietà delle forze dell'ordine metropolitane) che non solo brancolano nel buio, come vuole il luogo comune, ma ammettono proprio che l'errore è dietro l'angolo perché, come dice uno di loro, "falso negativo, falso positivo, è troppo facile mandare a puttane un caso fin dall'inizio", ed è proprio quello che succede nelle primissime fasi de La vita facile. Il punto è che il caso è del tutto relativo: si sa, da subito, chi è l'assassino e con il minimo (ma proprio il minimo) indispensabile di dimestichezza con il noir e/o il thriller è facile anche intuire come andrà a finire e chi arresterà l'avventato killer. E' logico nell'economia generale de La vita facile perché non è la suspense o il mistero, l'obiettivo del romanzo, piuttosto una ricostruzione della vita metropolitana. Molto neorealista nelle intenzioni, più proiettata verso il futuro nei risultati: la New York di Richard Price è un groviglio di strade buie e senza ritorno, quartieri sventrati dalla speculazione edilizia (e finanziaria), locali e negozi brulicanti di uomini e donne sempre sul filo di rasoio perché, come dice ad un certo punto uno di loro "la gente dice di essere questa o quella cosa, ma poi a un certo punto è soltanto quello che è". L'elenco dei personaggi è lungo e complesso (ma ognuno di loro ha un profilo psicologico disegnato con precisione millimetrica) e uno dopo l'altro stanno in bilico su una ragnatela di rapporti, più o meno casuali, che loro stessi costruiscono giorno per giorno (e soprattutto notte per notte) senza riuscire ad avere, neanche per un fugace istante, un quadro d'insieme perché nessuno si schiera, la parola condivisione è abolita per sempre, e dall'11 settembre 2001 in poi, "la gente di questa città non è con nessuno". Fin qui di motivi per leggere le oltre cinquecento pagine del miglior romanzo di Richard Price ce ne sono in abbondanza, ma poi il titolo originale, Lush Life, da Frank Sinatra a John Coltrane, suggerisce anche un accostamento con il jazz e l'impostazione sembra proprio confermarlo con quelle lunghe improvvisazioni che sono i dialoghi (e qui non si può fare altro che prendere atto dell'abilità di Richard Price) dove sono i personaggi a condurre le danze e il tema della città che ritorna ossessivamente a riportare il romanzo nelle strade, nella vita di una metropoli che sembra autoalimentarsi di lingue, gerghi, dialetti, pronunce sbagliate e battute senza appello per sopravvivere a se stessa. Tutto incollato nella scrittura lucida, frenetica e precisa di Richard Price che, al massimo della sua espressione, si concede persino il gusto dello sberleffo relegando la storia e il passato di New York ("l'East Village punk, la Times Square sporcacciona e il Lower East Side spirito del ghetto") in un angolo di un casinò di Atlantic City. Uno svolazzo ironico e kitsch che sigla un grande affresco della vita moderna (che è tutto, meno che facile).
Nessun commento:
Posta un commento