mercoledì 26 maggio 2010

Richard Yates

Nella vita sfortunata e tormentata di Richard Yates c'è stato persino il ruolo di ghost writer per Bob Kennedy, nel 1962. Poi una lunga serie di fallimenti e di sconfitte (personali) come corollario ad una ricerca narrativa intensa ed importante, purtroppo rimasta nell'ombra per tantissimi anni. Basti pensare che Tennessee Williams di lui diceva: "Ecco qualcosa di più di un'ottima scrittura: ecco cosa, aggiunto all'ottima scrittura, fa diventare subito vivo, in modo intenso e brillante, un libro. Se nella letteratura americana moderna occorra di più per creare un capolavoro, non saprei proprio dire cosa sia". Parlava di Revolutionary Road, uno straordinario romanzo che oggi trova una sua nuova e adeguata veste nella collana minimum classics, dove sono usciti anche John Barth (il sontuoso L'opera galleggiante) e Donald Barthelme. Tutte le note biografiche e bibliografiche e l'introduzione di Richard Ford ("Revolutionary Road guarda dritto verso di noi con sguardo smaliziato e ammonitore, e ci invita a fare attenzione, a stare all'erta, a badare bene, e a vivere la vita come se avesse importanza quello che facciamo, poiché fare di meno mette in pericolo tutto quanto") contribuiscono a ridargli la giusta luce. La storia è tutta nel titolo ("Il complesso residenziale di Revolutionary Hill non era stato progettato in funzione di un tragedia. Anche di notte, come di proposito, le sue costruzioni non presentavano ombre confuse né sagome spettrali. Era invicibilmente allegro: un paese dei balocchi composto di casette bianche e color pastello, le cui ampie finestre prive di tende occhieggiavano miti in un intrico di foglie verdi e gialle. Fasci di luce sfacciata spazzavano i prati, le eleganti porte d'ingresso e le curve delle automobili color panna ormeggiate dinanzi") perché è proprio nella realtà suburbana, provinciale e un po' amena dell'America anni Cinquanta che si consuma la vita matrimoniale e famigliare (hanno due figli, Jennifer e Michael) di Frank e April Wheeler. All'inizio è una routine di liti, incomprensioni e frustrazioni condite dall'abuso di alcool; poi arrivano i tradimenti, i sotterfugi e altre piccolezze in grado di disintegrare tutti i rapporti umani e sociali; infine, non inaspettata, ma repentina e crudele, la tragedia. Richard Yates, narratore attentissimo ai dialoghi e alle luci (a tratti sembra di essere in un quadro di Edward Hopper o di Charles Sheeler), non nasconde la sua partecipazione e coinvolge il lettore in un turbinio di parole travolgente anche se la vicenda, nella suo quotidiano tran tran, sembra persino banale. Revolutionary Road è una storia ad orologeria. Per tre quarti si gonfia di tensione con schegge e frammenti di un lungo e complesso rapporto di no love, come direbbero gli americani (quella situazione che non è amore e non è odio), tra marito e moglie (con due figli, e poveri i bambini). Le reciproche frustrazioni (lei è un'attrice mancata; lui è un'intellettuale ridotto al ruolo di travet) serpeggiano, con un lungo stillicidio di liti, equivoci, tradimenti e altre amenità famigliari (compreso l'improbabile sogno di fuggire a Parigi) condite dall'abuso tanto dell'alcool quanto delle parole. E' la vita di provincia, della provincia americana che Richard Yates ritrae con la stessa luce di Edward Hopper: un narratore che rimane alla finestra, non entra nel vivo dell'azione, si tiene fuori, eppure riesce a scoprire con una precisione disarmante tutto quello che succede dentro. Con la lentezza di uno di quei balli, più stanchi che languidi, che Frank e April Wheeler si concedono, con gli amici, in un locale fuori mano. Poi, nell'ultimo quarto, in fondo a Revolutionary Road, la bomba esplode e i sotterfugi, le bugie che hanno covato a lungo nei sotterranei della mediocrità deflagrano in una tragedia. A quel punto su Revolutionary Road cala il silenzio, e Richard Yates è grandissimo nel distinguere il passaggio, ma anche questa, alla fine, è una condizione spietata e crudele perché restano i due figli, Jennifer e Michael, tristi, muti e in attesa di risposte che non arriveranno mai. Sembra di vederli, ed è facile condividere quello che dice Richard Ford a proposito, ovvero che "Revolutionary Road guarda dritto verso di noi con sguardo smaliziato e ammonitore, e ci invita a fare attenzione, a stare all'erta, a badare bene, e a vivere la vita come se avesse importanza quello che facciamo, poiché fare di meno mette in pericolo tutto quanto". Un capolavoro, o quasi.

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