giovedì 18 settembre 2025

Daniel Keyes

Basato su una storia vera, per quanto assurda possa sembrare, Una stanza piena di gente ripercorre il caso emblematico di William Stanley Milligan, che in tutta la sua complessità mette in discussione gli elementi del diritto e della psichiatria in relazione alle “personalità multiple”. Tutto comincia nell’ottobre del 1977 quando Milligan, all’epoca poco più che ventenne, viene arrestato per violenze sessuali e rapine ad danni di tre studentesse universitarie. Lui si proclama innocente, ma non riesce a capacitarsi dell’evidenza delle prove che lo conducono dritto in tribunale. Durante il processo, però, gli viene diagnosticato e riconosciuto un gravissimo disturbo psichiatrico: nella sua mente convivono dozzine di personalità che hanno una loro autonomia, in termini di decisioni e responsabilità, una gerarchia e un modo imperscrutabile di “uscire sul posto”, ovvero di presentarsi nei momenti più o meno opportuni. Billy o il vero William Milligan affida a ciascuna delle altre “personalità” una missione, uno scopo: assorbire il dolore, proteggersi in ambienti ostili, trattare con le istituzioni, gestire le emozioni, a partire dagli atroci traumi subiti nell’infanzia. Un complesso sistema di autodifesa, compreso il “sonno” dello stesso Billy, tenuto in disparte dalle altre personalità perché “se vogliamo sopravvivere in questo mondo, dobbiamo fare un po’ di ordine in tutto questo caos”. Il dilemma centrale è la capacità di intendere e volere di un individuo occupata da “personalità multiple”, con tutte le ambiguità giuridiche, giornalistiche e, più di tutto, politiche che hanno condizionato il caso di William Milligan. Come imputato la sua esigenza principale è quella di chiunque: “Voglio essere di nuovo un cittadino. Vorrei imparare da capo a vivere”. A quel punto giocano un ruolo fondamentale le istituzioni, l’esercizio dell’autorità e l’amministrazione della giustizia dagli ospedali al carcere, e il trattamento della malattia mentale, tra la coercizione e il tentativo delle cure, che prevede la “fusione” delle personalità, in cerca di un equilibrio. Daniel Keyes, dal canto suo, organizza il racconto con caparbietà e con un’attenzione speciale. Dove non è sufficiente la documentazione ufficiale a cui ha attinto ci arriva la sua abilità di narratore che riesce a congiungere tutti i punti lasciati in sospeso, ma soprattutto a delineare con estrema precisione l’intricata querelle, rendendo avvincenti anche gli aspetti più contorti e macchinosi della realtà giuridica e scientifica. Dalla metà in poi, cioè dalla storica sentenza, Una stanza piena di gente diventa in effetti diventa un lunghissimo flashback che mette in evidenza la turbolenta convivenza delle “personalità multiple” che sono divise dall’età, dalla loro percezione, persino dalle idee politiche o dai “vuoti di tempo” lasciati quando il palcoscenico della vita è occupato da qualcun altro. Così, quando “sembrava che le cose succedessero sempre più ravvicinate tra loro, si stava preparando un altro brutto periodo di confusione”, la distanza tra figure prominenti come “il Maestro” o poco più che fugaci come gli “indesiderabili” che convivono in William Milligan aumenta e ci conseguenza si aggrava il suo disturbo dissociativo. Nella versione di Daniel Keyes la convivenza e il conflitto delle personalità affiora come un riflesso della società in sé e Una stanza piena di gente ha senza dubbio il pregio di illustrare un tema ostico, da tutti i punti di vista, ma la questione resta irrisolta e così l’enigma di William Milligan che, stando alle notizie più recenti, sarebbe diventato un produttore di Hollywood. Nessuna sorpresa, lì la sua patologia è uno stile di vita.

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