domenica 3 luglio 2016

Sam Shepard

L’inquadratura iniziale di Pazzo d’amore riassume già gran parte della narrativa di Sam Shepard: “Una squallida stanza di un motel di terza categoria al limite del deserto Mojave. Le pareti sono di un verde sbiadito. Il pavimento è di linoleum marrone scuro. Non ci sono tappeti. Il letto di ferro battuto a quattro pomi, a una piazza, è leggermente decentrato sulla parte destra del palcoscenico e parallelo rispetto al pubblico”. Un punto di partenza proprio in mezzo al nulla, in realtà una sorta di capolinea, tanto per cominciare. Eddie ha fatto una deviazione di duemilaquattrocentottanta miglia (“Duemilaquattrocentottanta”) per andare a trovare May e lo sforzo di un viaggio tanto lungo e impegnativo è accolto così: “Non puoi venire a fare questo casino ogni volta. Lo fai da troppo tempo, io non ce la faccio più. Mi sento male ogni volta che arrivi e poi sto male quando te ne vai. Sei una malattia. E poi non hai nessuno diritto di essere geloso dopo tutta la merda che mi hai fatto ingoiare”. Le scintille tra May, Eddie e Martin e un po’ più in là, il vecchio, sono compresse in una trama che è un condensato e un compendio della drammaturgia di Sam Shepard, anche nella forma e nello stile. Il linguaggio è aspro, immediato, spietato perché oltre al groviglio dei legami, non c’è alternativa. Fuori resta il deserto, eppure è sempre l’opzione migliore: “Chissà quante cose ho dimenticato. Per fortuna che a un certo punto me ne sono andato. E’ stata la mossa migliore che potessi fare”. Focalizzato su rapporti che non sono mai semplici, mai lineari, mai risolti, Pazzo d’amore è necessario perché a modo suo racchiude tutti gli elementi fondamentali dei copioni di Sam Shepard. Il tema è coerente con altre battaglie tra uomini e donne, il più delle volte concluse da sconfitte brucianti, e Pazzo d’amore riporta un segmento significativo quando, infine, tocca proprio a May completare il quadro: “Non credere di cavartela così. Hai rigirato questa storia come ti pareva, Eddie. L’hai completamente stravolta. Adesso non sai più qual è il capo e qual è la coda. Okay, okay. Non ho bisogno di nessuno di voi. Non ho bisogno di niente tanto già lo so come va a finire questa storia. Lo so perfettamente come va a finire. So esattamente come sono andate le cose, senza dover aggiungere colpi di scena”. Rimane l’eco di una voce, quasi fuoci campo, ed è il vecchio che chiede: “Tu inventi i sogni, non è così?”, ma la risposta rimane comunque ambigua, un po’ dentro e un po’ fuori, perché “una bugia è quando tu credi che quella sia la verità. Ma se già sai che quella è una bugia allora non è una vera bugia”. Scorticato nell’essenzialità della sua cornice, circoscritto da Merle Haggard che canta Wake Up dall’album The Way I Am e poi I’m The One Who Loves You alla fine, Pazzo d’amore ribadisce soprattutto il ritmo tambureggiante, sincopato, serrato, battuta sopra battuta, con le frasi si incastrano una nell’altra. Una volta immerisi nel groove, leggere Sam Shepard è come guidare nella notte con gli abbaglianti. Il centro è illuminato quel tanto che basta da credere di essere nella direzione giusta. Tutto intorno, c’è soltanto l’oscurità.

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