lunedì 11 luglio 2016

Patti Smith

Per Patti Smith, il volto della maturità è un’esistenza frugale dedicata all’arte, alla cultura, alla contemplazione, ai viaggi, tutti strumenti utili a definire “l’amalgama di un sogno”, una forma accarezzata spesso e altrove definita Dream Of Life. Lo stesso M Train è un treno immaginario, che Patti Smith scopre nel dormiveglia, una twilight zone dove si tende a ricostruire la realtà seguendo vie misteriose. Da lì, le dinamiche del memoir, con cui Patti Smith ha scoperto la vocazione di narratrice in Just Kids, vengono aggiornate con maggior coraggio e il tragitto dell’M Train porta più lontano. Se allora la figura maschile centrale era rappresentata da Robert Mapplethorpe, qui viene richiamata invece quella di Fred Sonic Smith. La ricostruzione del matrimonio, forse proprio la riscrittura in sé, è accorata ed elegiaca, e le correzioni e le omissioni autobiografiche sono comprensibili, anche dove Patti Smith ammette che “con il tempo spesso finiamo per identificarci con chi in passato in passato non riuscivamo a capire”. Da quello che viene riportato in M Train, l’intesa con Fred Sonic Smith era funzionale a un equilibrio contraddittorio, fondato su un’idea tradizionale della famiglia che si scontrava con le velleità artistiche e i colpi di testa di entrambi. Come l’acquisto di uno yacht pieno di falle o il pellegrinaggio ai Caraibi sui passi di Jean Genet, la cui figura apre e in qualche modo chiude l’eccentrico percorso dell’M Train. Il primo elemento indiscutibile è che, pur composto in un piccolo caffè, seguendo una routine immutabile e una dieta dimessa, M Train è in realtà un diario di viaggio, in un certo senso anche di una fuga, se come dice Patti Smith, “è proprio vero: a volte nascondiamo i nostri sogni dietro alla realtà”. Di treni, aerei e autobus Patti Smith ne prende parecchi verso Città del Messico, Tokyo, Berlino, Londra e Tangeri, l’approdo finale dove, nell’incontro con Paul Bowles, M Train si svela nell’essenza di un omaggio alla Beat Generation, almeno quanto all’inizio lo era per Sam Shepard. I due punti di riferimento affiorano sulla superficie dei pensieri e delle note di Patti Smith in modi diversi (impossibile non identificare Sam Shepard nell’onirico “mandriano” che la segue ovunque) e comunque indispensabili ad alimentarne intenzioni & propositi: “Ho perlustrato le nicchie di gioie passate, fermandomi a un momento di esaltazione segreta. Ci sarebbe voluto del tempo, ma sapevo come fare”. La lettura, più di tutto: l’elenco delle ossessioni letterarie comprende Haruki Murakami e Roberto Bolaño, Mohammed Mrabet e Sylvia Plath e una sequenza di riflessioni disposte sui suoi taccuini la portano a considerare che “lo scrittore è un direttore d’orchestra”. Nel suo M Train, Patti Smith ha il vizio di dimenticare tutto e di ricordare così bene, seguendo soltanto l'ispirazione, senza subordinate: “Volevo solo perdermi, diventare tutt’uno con qualche altro luogo, infilare una ghirlanda sulla cima di un campanile solo perché mi andava di farlo”. Allo stesso modo, alla fine torna a casa, che vuol dire NYC, a ritrovare i piccoli riti. La saggezza di Patti Smith è quella di essere rimasta insaziabile, curiosa, irrazionale tanto da comprare un rudere a Rockaway Beach appena prima dell’uragano Sandy solo perché “vogliamo cose che non possiamo avere. Cerchiamo di recuperare un particolare momento, suono, sensazione”. Quando non rimane nulla, ed è ora di rimettersi in piedi, viene anche il momento in cui “il sogno deve cedere il passo alla vita” ed è anche noia, ozio, distrazione (“Una serie televisiva ha una sua realtà morale) eppure persino nel suo placido tran tran casalingo M Train riesce a trasmettere l’inconfondibile spirito dell’artista, perché “la metamorfosi del cuore è una cosa meravigliosa, a prescindere da come arrivi”. Con gli occhi aperti, con gli occhi chiusi.

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