Da New York a Newport, contano i luoghi e i tempi a definire la rapida svolta impressa dall’arrivo di Dylan. A guardare bene sono soltanto quattro, cinque anni, dal 1961 al 1965, ma succede di tutto. Nei caffè del Village domina la scena folk che si intreccia con il movimento per i diritti civili e contro l’onnipresente minaccia della guerra nucleare. Prima di lui, ci sono Woody Guthrie, Ramblin’ Jack Elliott, Dave Van Ronk, Eric Von Schmidt, Joan Baez e Pete Seeger che ha il ruolo di anfitrione in una scena in movimento a cui Dylan ha attinto e restituito in termini di popolarità. Questo è il substrato in cui appare come se fosse venuto dal nulla, circondato da un’aura misteriosa che lui stesso ha contribuito a creare, che si alterna al fascino della musica folk che, come spiega Elijah Wald era “dovuto al fatto che fosse imbevuta di realtà, di storia, di esperienze profonde, di miti antichi e sogni incrollabili. Non si trattava di un suono o di un genere specifico, ma di un modo di comprendere il mondo e radicare il presente nel passato”. È importante ricordarselo: la ricerca dell’autenticità e della purezza si scontra con le rapide metamorfosi di Dylan, perché, come è successo spesso nella sua storia, è dentro e nello stesso tempo è già fuori. Tra Washington Square e Newport la distanza è relativa, ma Dylan ha già accelerato. Scrive Jon Pankake: “Lo trovai terribile, ma ne fui affascinato. In passato era stato inibito come tutti noi, ora ululava e saltellava a destra e a manca. Prima di lavorare sulla tecnica, aveva lavorato sulla libertà”. Il racconto è minuzioso, ricco di dettagli e di testimonianze ed è comunque molto scorrevole: Elijah Wald riesce a mantenersi in equilibrio tra la ricostruzione degli eventi e dei personaggi e le analisi critiche, per esempio, spiegando molto bene l’influenza dell’arrivo dei Beatles e della British Invasion, come precedenti di quello che succederà a Newport dove il contrasto tra pop, folk e rock’n’roll diventerà palese proprio con Bob Dylan. Siamo già nel 1965 e un’annotazione di Elijah Wald fa pensare: a Newport, Dylan non mostra il futuro (gli strumenti elettrici sono soltanto un pretesto, il più appariscente), ma si mostra come custode del passato. Questa idea pare contraddittoria, ma contiene alcuni elementi che meritano un supplemento di riflessione. In effetti la musica di Dylan risiede lì, pur con tutti i distinguo del caso, e c’è già tutta una serie di segnali nell’aria frizzante, dalla Paul Butterfield Band a Richard e Mimi Fariña, movimenti notturni e sollecitazioni imprevedibili, che anticipano la svolta. L’apparizione di Dylan è un happening, una macedonia di questioni tecniche, ambientali ed esistenziali irrisolte. Secondo Elijah Wald “senza dubbio, Dylan stava esagerando. Per lui, la presenza di una band era una forma di comunicazione, ma anche un guscio protettivo”. È un dettaglio all’interno di un movimento d’insieme, visto dall’alto e dall’interno, con tutte le contraddizioni e le idiosincrasie, dalla leggenda dell’ascia di Pete Seeger alle reazioni del pubblico, a partire da quella, feroce, di Alan Lomax. La composizione delle diverse prospettive è un’opzione valida, ma giocoforza resta incompiuta, anche se diventa chiaro che “il problema non erano soltanto gli strumenti elettrici, ma una convergenza di diversi livelli di conflitto: la musica pop contro la musica tradizionale, il confezionamento commerciale contro le creazioni della comunità, l’evasione dalla realtà contro l’impegno sociale”. È una linea di demarcazione tra epoche differenti e quel preciso momento è diventato “un simbolo comodo e irresistibile, riciclato in innumerevoli documentari fino a diventare un cliché. Il motivo per cui la sua eco continua a risuonare è che, anche se avvenne in un momento storico ben preciso, il conflitto che rappresenta è eterno”. Il vero contrasto andato in scena è una frattura tutta americana che vede da una parte “l’ideale democratico e collettivo di una società di pari che collaborano per il bene comune; dall’altra, quello della libertà del singolo individuo, che non deve sottostare ai vincoli di regole e usanze”. A quel punto Elijah Wald sottolinea che siamo ormai tra “l’ambito di competenza della storia e quello della leggenda” e da lì in poi le cose vanno veloci, troppo veloci: “i tempi stanno cambiando”, Newport resta un ricordo e Dylan se ne va verso orizzonti impossibili.
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