martedì 18 novembre 2025

Patti Smith

Patti Smith è una sagoma in movimento, una Polaroid che si deve sviluppare: ci vorrà un minuto, o un pezzo di vita, o forse tutta intera. La sua introspezione non conosce sosta: è una perlustrazione intima e molto personale che scorre parallela e contigua al suo inesauribile afflato per l’arte in generale, la musica e la scrittura in particolare. Il pane degli angeli è l’ennesima celebrazione di un modus vivendi che vede Patti Smith nell’epicentro di fibrillazioni emotive che si traducono in una prosa florida e ipersensibile, capace di perdersi in un singolo particolare e di convogliare suggestioni e osservazioni in un tono elegiaco. A priori, lei si riserva un’autoassoluzione, quasi un rito propiziatorio per ricominciare e continuare a raccontarsi: “Per molto tempo ho mantenuto un residuo di innocenza, un ciuffo impalpabile alla deriva da qualche parte dentro di me, che mi ha concesso una generosa dote di entusiasmo, temperando la perdita e la delusione”. È un memoir sui generis con una costante nelle digressioni di Patti Smith e nell’infinita macedonia di iperboli e metafore che ormai distinguono il suo stile e qui c’è tutto, “c’è la magnificenza, e c’è il magnifico fallimento”. Non spiega, non argomenta e non teme di ripetersi, e succede spesso: è come se ogni storia, ogni singolo aneddoto, da Just Kids in poi, prendessero forma in modo diverso, sotto una nuova luce. Il pane degli angeli è così: meditabondo, accurato nella scelta dei vocaboli, ma anche naïf a tratti, come se Patti Smith fosse solo una spettatrice del proprio destino, consapevole che “bisogna distinguere tra un sogno e una vocazione”, ma libera da canoni e vincoli. Questo fin dagli anni più acerbi, evocati in un florilegio di dettagli che concorrono a definire un’apparenza di trama e il senso di un’individualità ribelle: “Non stavo al passo, eppure nella mia mente ero diversi passi avanti, perché portavo con me i mondi che avevo abitato, letto o creato febbrilmente”. La tessitura iniziale è fin troppo fitta, ma la ricerca del tempo perduto dell’infanzia ha però un motivo ben preciso che diventerà chiaro soltanto più avanti, ovvero verso la fine, quando Il pane degli angeli chiarisce che quel passato non passa mai “perché i bambini operano nel perpetuo presente, vanno avanti, ricostruiscono i loro castelli, depongono gessi e stampelle, e tornano a camminare”. Per Patti Smith la svolta arriva con “la schietta ingenuità del rock’n’roll” e, anche se lo sapevamo già, non perde l’occasione per ribadire che “non c’erano regole se non quella di essere liberi, senza nessuna aspettativa materiale. Cercavamo tutti il nuovo, fondendo poesia e rock, messi a nudo, privi di artificio. Nella ricerca dell’illuminazione, potevamo anche sporcarci, ma nella ricerca della semplicità venivamo purificati, e così cercavamo tutti entrambe le cose”. Gli appunti di viaggio, le cronache famigliari, le amicizie e le assenze (“Faccio l’inventario di chi è ancora con me”) si alternano alle visioni, agli ascolti e alle letture. Di volta in volta “la memoria si riaccende e si snoda nelle vene di una mappa a brandelli” e ritroviamo Il pane degli angeli farcito da Samuel Beckett e James Joyce, dal mare onnipresente della costa atlantica a quello di Trieste e Nizza, da Picasso e Camus, da John Coltrane e dai Grateful Dead, da William Burroughs ed Emily Dickinson fino all’inevitabile ricordo di Sam Shepard, che le aveva dato il via, un secolo fa. L’idea di “lasciar andare” le parole è implicita nel tono, nel ritmo e, più di tutto, nella certezza, l’unica, che “la realtà è la pioggia e il vento, poche pagine di appunti che, si spera, entreranno a far parte di qualcosa di più grande”. Le esigenze di Patti Smith sono frugali e la sua predisposizione è tutta volta a cogliere qualcosa che il più delle volte resta impercettibile e aleatorio: “Ecco ciò che uno scrittore desidera, in un caffè alle prime ore del mattino, nel salone vuoto di un albergo, o quando scrive su un taccuino nel banco di una cattedrale silenziosa. Un improvviso raggio di luce che contiene la vibrazione di un preciso momento”. Davvero, non c’è altro e Il pane degli angeli è tutto lì: una fotografia sfocata, l’eco di una chitarra elettrica, una barca che non ha mai preso il largo, un miraggio che brilla ancora. 

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