mercoledì 6 giugno 2018

James Lee Burke

Tra le infinite puntate della saga di Dave Robicheaux, il detective più famoso e tormentato della Louisiana, La ballata di Jolie Blon è quella dove aleggia con convinzione un’atmosfera metafisica, quasi spirituale. Nell’occasione, il suo avversario principale (e il più pauroso, a dir la verità) si chiama Legion Guidry ed è un aguzzino che nel fiore dei suoi anni era solito abusare delle donne (di colore). Rimasto impunito, con l’età ha cominciato ad apprezzare il sapore aspro del l’arroganza, somministrata sulle fondamenta di un becero razzismo e nel solco dei ricordi della schiavitù. Inevitabilmente, l’anarcoide Robicheaux sente subito puzza di bruciato, non appena lo sfiora perché per lui Legion Guidry è “la rivelazione di una potente presenza maligna in un uomo che sembrava diverso da tutti gli altri”. La sua è una figura che si staglia e si incastra alla perfezione sullo sfondo della Louisiana (e di New Orleans e New Iberia in particolare) che fornisce l’humus ideale per il proliferare dell’intricata storia che scorre con La ballata di Jolie Blon. James Lee Burke non concede alcuna prova d’appello nel descrivere un habitat affascinante e crudele: “Innamorarsi della Louisiana in un certo senso è come innamorarsi della biblica meretrice di Babilonia. Cerchiamo di sorridere, della sua politica da circo, dei suoi demagoghi sudaticci e fradici di whisky, dell’ignoranza alimentata dalla povertà e dall’isolamento delle culture cajun e afrocaraibiche. Ma i nostri atteggiamenti autodenigratori sono un misero modo per celare le realtà che si possono scorgere ai margini del campo visivo come sbavature su un ritratto di famiglia”. I conflitti dell’ambiente sono i riflessi perfetti dei tormenti interiori di Dave Robicheaux (l’alcol, il Vietnam) che nell’occasione può contare soltanto su due alleati. Prima di tutto, il suo istinto, che lo porta a pensare: Non mi ero mai sentito così solo in vita mia. Ancora una volta bruciavo dal desiderio quasi sessuale di richiudere le dita attorno al calcio di una pistola pesante, di grosso calibro, di sentire l’odore acre della cordite, di liberarmi da tutte le responsabilità che soffocavano la mia vita togliendomi il respiro dai polmoni. E poi capii che cosa dovevo fare”. L’altro punto d’appoggio è l’inevitabile Clete Purcel, un personaggio che proprio a partire con La ballata di Jolie Blon, aumenterà il suo peso, già piuttosto ingombrante, nei romanzi di James Lee Burke. Con lui sfila una una mezza dozzina di personaggi picareschi, finché non appare un fantasma del passato di Dave Robicheaux, un vagabondo che si spaccia per il medico che gli salvò la vita in Vietnam. Se il nome del nemico è Legione, quello dello spettro fraterno (che ricorda non poco l’ectoplasma di Un angelo in fiamme) si chiama Sal che, come tutti sanno, è il diminutivo di Salvatore. L’epico scontro, nella visione manichea di Dave Robicheaux, diventa una visione mistica con tanto di tuoni e fulmini: una battaglia senza esclusioni di colpi che però non risolve le angosce, i dubbi e le paure dell’alter ego di James Lee Burke. La ballata di Jolie Blon s’incastra alla perfezione nell’epopea di Dave Robicheaux ed è un romanzo che si legge in una sera, o poco più, perché James Lee Burke conosce i lettori almeno quanto i suoi personaggi e non manca di andare a segno. Resta però irrisolta quell’aura mistica, quella riduzione dello scontro tra il bene e il male che, chissà, magari avrà bisogno di un altro episodio, e poi di un altro ancora.

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