giovedì 4 settembre 2014

Jack Henry Abbott

Più che un libro, Nel ventre della bestia è un’arma contundente, un cahier de doléances senza freni e senza inibizioni nei confronti del sistema carcerario e del ruolo repressivo all’interno della società. Un autentico grido di dolore, figlio della certezza che “niente che tocchi il cuore umano è assurdo”. In gran parte Nel ventre della bestia si sviluppa dal dialogo epistolare con Norman Mailer che adottò, sul piano intellettuale, Jack Henry Abbott, all’epoca della corrispondenza incarcerato per rapina a mano armata e per l’omicidio di un altro detenuto. Scrive proprio Norman Mailer nella prefazione: “Non c’è bisogno di aggiungere che ciò che era vero era anche come guardare in un pozzo senza fondo. Leggere le lettere di Abbott non aiutava a fare sogni tranquilli”. Non c’è dubbio: il flusso di coscienza di Jack Henry Abbott, il racconto in prima persona delle condizioni di vita (e di morte) nelle prigioni americane è forte, micidiale, senza alternative: una testimonianza durissima e univoca, e non è difficile immaginare come e perché Norman Mailer ne sia rimasto affascinato visto che, come diceva, Nel ventre della bestia si trova “la verità della letteratura come espressione umana che sopravvive a tutti gli ostacoli”. Jack Henry Abbott scrive senza particolari freni, il suo diario è un fiume in piena senza soluzione di continuità perché ha vissuto sempre e soltanto Nel ventre della bestia e la sua è una storia senso unico. E’ inevitabile che sia così, anche se Jack Henry Abbott si aggrappa alle letture, alla filosofia, alla scienza e alla scrittura in modo disperato perché, confessa, “ho bisogno della bellezza come ho bisogno di respirare”. Si percepisce quell’urgenza così come il peso di una testimonianza livida, atroce, senza correzioni e/o limature di una battaglia spietata che non prevede tregue, perchè come diceva Jack Henry Abbott: “Ora, io ci tengo parecchio a me stesso e non posso accettare l’idea di non essere in grado di adattarmi alla libertà. Anche se questo dovesse significare che passerò la mia vita dentro, perché per me il carcere non è altro che ammutinamento e rivolta”. Purtroppo, la sua, di storia, ha avuto la prevedibile e tragica conclusione destinata a chi è stato e si è nutrito per tutta la vita di violenza, anche se è vero che “al fondo, gli uomini hanno dei princìpi; le volgarità sono acquisite”. Uscito dal carcere nel 1981, Jack Henry Abbott uccise un’altra persona, venne condannato a quindici anni di reclusione e a pagare i danni alla famiglia, tanto che non vide mai un dollaro dei diritti d’autore di Nel ventre della bestia. Tornato al suo orrido buco, Jack Henry Abbott si suicidò nel 2002, un gesto estremo e irrevocabile perché il suicidio è la dimostrazione che c’è qualcosa di peggiore della morte. E’ così che Jack Henry Abbott si è negato fino alla fine, a “un corpo politico infracidito di cattiva coscienza” (Norman Mailer dixit) e dopo aver letto Nel ventre della bestia non appare poi tanto paradossale e assurdo, come sembrerebbe a prima vista. Usare con cautela, lascia il segno. 

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