martedì 22 ottobre 2013

Joan Didion

Il viaggio Verso Betlemme di Joan Dirion attraversa un momento prospero ed effervescente della vita americana nel cuore del ventesimo secolo, tra il 1961 e il 1968, eppure evidenzia in presa diretta “la prova tangibile dell’atomizzazione, la dimostrazione che le cose cadono a pezzi”. Anche quando il prodotto interno lordo è alle stelle e metà della popolazione ha più o meno venticinque anni. Per quanto coinvolta, partecipe, vicina e attenta, Joan Didion è un’osservatrice molto acuta, che riesce a mantenere un distacco spontaneo per riuscire a cogliere una prospettiva singolare e precisa. Un’attitudine che discende dalla sua personalità che lei stessa riconosce “così minuta, così caratterialmente riservata, e così nevroticamente inarticolata che la gente tende a dimenticare come la mia presenza vada contro i loro migliori interessi. Ed è sempre così”. I soggetti e i temi centrali dei saggi e degli articoli sono tra i più disparati: si va da un ritratto di John Wayne al reportage da Pearl Harbour, dove Joan Didion si stupisce di commuoversi di fronte alle corazzate affondate, dall’intervista a Joan Baez alla rilettura di un cold case di cronaca nera, dal suo arrivo a New York all’esperienza in Haigh Street tra i Grateful Dead e Allen Ginsberg fino a un matrimonio a Las Vegas e alle paranoie di Howard Hughes. Tutti svolti con una scrittura fluida, pungente e colta, per cui le caratterizzazioni dei personaggi formano la parte essenziale di Verso Betlemme perché “le nostre persone preferite e le nostre storie preferite diventano tali non per una virtù intrinseca, ma perché rappresentano qualcosa di profondamente radicato, qualcosa di inconfessato” e comunque quale che sia l’argomento Joan Didion concede poco, rimane incollata alla sua percezione e, a distanza di mezzo secolo, la sua visione è ancora molto nitida. Joan Didion ha soltanto il necessario spessore per confrontarsi con tante, differenti realtà: ha anche il coraggio di esprimere quelle perplessità e quel pensiero critico che qualcuno vorrebbe ridurre a moralismo e che invece è un punto di vista, un’osservazione, una linea tracciata, una scelta di campo. Il vero dilemma che alimenta Verso Betlemme è piuttosto che “ogni incontro esige troppo, logora i nervi, prosciuga la volontà, e lo spettro di un’inezia come una lettera non evasa provoca un senso di colpa così sproporzionato, che rispondere alla lettera diventa impossibile. Assegnare il giusto peso alle lettere inevase, liberarci dalle aspettative degli altri, restituirci a noi stessi: ecco dove risiede il grande, singolare potere del rispetto di sé. Senza questo, finiamo per scoprire l’ultimo giro di vite: fuggiamo per trovare noi stessi, e non troviamo nessuno in casa”. Verso Betlemme è una rappresentazione efficace della battaglia di Joan Didion al confine tra giornalismo e narrativa e, oltre a rivelare un talento indiscutibile, capace di fondere la profondità delle analisi con un tono sempre eloquente, è la prova di un raro acume, ancora intatto. 

Nessun commento:

Posta un commento