domenica 7 settembre 2014

Benjamin Alire Sáenz

Il Kentucky Club è un capolinea dell’umanità, un bar sul border che unisce e divide la stessa città spaccata in due, El Paso e Juaréz. Chi ci arriva non deve soltanto varcare la frontiera, nella notte, e andare come un rabdomante in cerca di qualcosa che non c’è più. E’ costretto ad affrontare la realtà di un incubo in cui spariscono le persone, le lingue, i riferimenti e persino una parvenza di civiltà. Le storie di famiglie sgangherate, violenza e ancora violenza, solitudine, disperazione e abbandono si susseguono e i personaggi non hanno in comune soltanto il ritrovo notturno al Kentucky Club. I racconti si inanellano uno con l’altro e hanno qualcosa in più di una costante aderenza, perché molti dei caratteri potrebbero essere intercambiabili. Se Tutto inizia e finisce al Kentucky Club non è proprio un romanzo, non è difficile immaginare una visione complessiva d’insieme che si traduce in un senso imminente e immane di tragedia quale è il destino di una (due) città, “così caotica, violenta e capricciosa, una città che bramava il sangue dai suoi stessi abitanti”. La lettura e la letteratura in qualche modo sono una precaria via d’uscita, se non proprio la salvezza per gran parte dei protagonisti, perché come ammette uno di loro “a volte, leggere mi fa sentire vivo”, e così il Kentucky Club è una specie di ultima spiaggia per tutta un’umanità a cui serve disperatamente un briciolo d’amore per sopravvivere. Benjamin Alire Sáenz è uno scrittore che non teme di frugare nella polvere, lo stile è essenziale, lascia spazio al lettore per muoversi con lui e con i suoi personaggi nelle atmosfere notturne e crepuscolari delle storie, che in realtà non sono poi così prive di speranza. E’ anche una scrittura molto aspra, scorticata ed estrema. Il concentrato dei racconti sembra favorire quel modello. I personaggi sono nello stesso tempo designati con tagli netti, precisi, senza sbavature. Mantengono un’aura di sfuggente bellezza, come se fossero provvisori, almeno quanto è provvisoria la vita tra El Paso e Juaréz e il Kentucky Club, dove Benjamin Alire Sáenz ha posto un punto fermo, una sorta di boa attorno a cui prima o poi ruotano tutte le scialuppe di salvataggio malandate dei personaggi, solo che il mare lì fuori è un deserto. Colonna sonora di Louis Armstrong, Billie Holiday, Miles Davis, Ray Charles, Janis Joplin, i Beatles citati in A volte la pioggia e Joni Mitchell in Il gioco del dolore. Le loro note sottolineano le ferite tracciate dai confini che dividono marito e moglie, figli e genitori o gli amanti separati dalla vita, dalle storie, dalle parole dette come da quelle non dette. Un margine di luce si intravede sempre, per quanto minimo e rarefatto, e il primo racconto di Tutto inizia e finisce al Kentucky Club, una delicata storia d’amore spazzata via da una forza oscura, invisibile, spietata e inspiegabile offre una particolare chiave di lettura, valida anche per tutti gli altri racconti, dove Benjamin Alire Sáenz scrive: “Se vivi al confine, puoi innamorarti della tragedia senza per questo essere tragico a tua volta”.

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