martedì 23 settembre 2014

Mark Twain

Il fitto patchwork di cui è composto Il pretendente americano è uno squarcio postmoderno ante litteram, caotico e allegro andante, un laboratorio di idee che rivela una pantomima del potere e dei simboli di cui si nutre e con cui si manifesta. Parecchio visionario, anche rispetto ai suoi personalissimi standard, l’azzardo di Mark Twain ha ancora, in tutta la sua spontanea esuberanza, una specifica attualità nell’irridere i luoghi comuni e le convenzioni che reggono le strutture della civiltà così come la conosciamo, dalle scale gerarchiche alle (inamovibili) caste, dai governi agli strumenti di comunicazione. Qualcosa ricorda, fatte le debite proporzioni geografiche e temporali (Mark Twain ci arriva giusto con mezzo secolo di anticipo) e prese le adeguate misure stilistiche, Il gattopardo, almeno nel concetto essenziale che sta nel nucleo effervescente del romanzo. Attraverso le gesta di Mulberry Sellers, indomito ed esperto sognatore, nonché quelle di Howard Tracy, aristocratico inglese alla scoperta della democrazia americana, e le loro molteplici forme d’espressione “il lettore è invitato a sfogliare le pagine e, di volta in volta, a servirsene man mano che procede nella lettura”, per ritrovarsi nell’ennesima rappresentazione delle distorsioni del potere costituito, e della sua corruzione. Le immagini valgono per le “impressioni d’America”, e così a tutte le latitudini immaginabili: il gusto provocatorio rimane tale e quale perché, come dice lo stesso Mark Twain, Il pretendente americano “finora è stato sulla scena senza problemi; quindi corriamo di nuovo il rischio, questa volta sentendoci abbastanza al sicuro perché tutelati dall’istituto della prescrizione”. Con questa fondamentale premessa Mark Twain ha lasciato esplodere i fuochi d’artificio della sua immaginazione così come quella di Mulberry Sellers, rendendo Il pretendente americano un romanzo atipico, estremo, coraggioso, spigoloso e ironico, almeno quanto irriverente. Anche per questo è un libro che ha avuto bisogno di parecchi anni per essere compreso, così come è riuscita a identificarlo Bobbie Ann Mason: “Il pretendente americano è un enorme divertimento. Sono qui a celebrare la folle energia di questo strano romanzo. In esso abbiamo il piacere di vedere la fantasia di Mark Twain andare addirittura fuori di testa”. E’ così, Il pretendente americano è Mark Twain al cubo, più libero e spiritato che mai: la sua composizione prevede diversi toni e forme che si alternano e si sovrappongono, seguendo un percorso tortuoso, non sempre agevole. Anche dal punto di vista stilistico, Mark Twain elude tutte le gabbie, procedendo per variazioni improvvise, salti spaziali e temporali, sempre con un ghigno insistente e ricorrente tra le righe, compreso lo spostamento, in blocco, delle condizioni climatiche in un’apposita appendice, scombinando fino alla fine anche le impostazioni del libro in sé. Una piccola curiosità: è anche il primo romanzo dettato al fonografo da Mark Twain e una certa corrosività sembra averne giovato.

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