venerdì 19 settembre 2014

Raymond Carver

Di cosa parliamo quando parliamo di amore è la raccolta di racconti che marca la differenza tra le due vite vissute da Raymond Carver. Le storie sono attinte da un arco temporale compreso tra il 1974 e il 1981 ed è proprio lì in mezzo che va individuata la svolta che lo ha portato a dire: “Il passato è davvero un paese straniero in cui le cose si fanno in maniera diversa. Sono cose che succedono. Ho davvero l’impressione di aver avuto due vite diverse”. La trasformazione comincia, non a caso, fin dall’inizio: Perché non ballate? è il primo racconto scritto da sobrio e anche lo sgombero finale delle suppellettili da parte di “un uomo di mezza età”, un tratto significativo della storia, è un riferimento, nemmeno tanto metaforico, all’autobiografia di Carver. La sua scrittura nasce e resta così: quei minuscoli bozzetti scritti rubandoli alla propria esistenza, dispensano il minimo contatto con la realtà, il più profondo possibile. L’approccio non è mediato, non c’è alcun particolare rilievo grammaticale, le immagini sono sempre sfocate nei contorni eppure precise (persino crudeli) nel delineare l’atmosfera e nell’ampio spazio lasciato al lettore, i personaggi sembrano inclini a non affrontare la vita con progetti, sogni, destinazioni o qualche semplice illusione, sembrano onde in balia del mare, quando già non spiaggiate sulla ruvida sabbia. Il distacco con cui Raymond Carver ricostruisce spezzoni di quelle vite, e insieme riordina anche frammenti della sua, verrebbe da dire, appare quasi freddo e chirurgico, ma non c’è errore più grosso. Nella sua attenzione alle parole, e nelle libertà concesse (o meno) al suo editor, Gordon Lish, per i tagli e le limature, (nel’occasione piuttosto drastico), Raymond Carver è andato a cercare una precisione sempre più raffinata e Di cosa parliamo quando parliamo di amore è un passaggio davvero importante, come ammetteva lui stesso: “Tanto per cominciare è una racconta molto più circospetta delle altre, nel senso che ogni mossa è più attenta, più calcolata. Sono racconti che ho manipolato e rielaborato più volte prima di inserirli nel libro, come non avevo mai fatto prima con gli altri”. Lo si vede anche in Tanta acqua così vicino a casa in cui una luce teatrale, fissa, sia negli interni che negli esterni, riporta al suo spostamento geografico, quando si trasferì a Port Angeles, una città davanti all’oceano e attraversata da una mezza dozzina di fiumi. E’ stato un turning point importante e definitivo e non solo perché ha detto: “Ho ancora pesci da pescare e storie da raccontare”. In quel momento, e per la prima volta in entrambe le sue vite, Raymond Carver ebbe a disposizione un’intera stanza per sé, per la sua macchina da scrivere e per le sue short stories, un traguardo che gli sembrava impossibile e che contribuì in modo notevole alla sua metamorfosi, salutata poi così: “Dopo il successo ottenuto da Di cosa parliamo quando parliamo di amore, ho acquistato una sicurezza che non avevo mai provato prima”. Parafrasando la definizione che ha coniato per quel luogo di lavoro, ecco, con Carver abbiamo imparato che la letteratura è “un lusso e una necessità”. 

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