Allora,
Generazione X era apparso
come una visionaria proiezione del futuro. Oggi, sembra quasi un reperto
preistorico. Rimane un’istantanea di un peculiare segmento storico, utile a
capire come si evolvono forme di gergo e di linguaggio, e non è del tutto
illogico provare ancora a cercargli una giusta posizione. Pur con una sua
specifica valenza, per quanto frammentaria (e, a tratti, anche divertente),
essendo un quadro impressionistico, Generazione X si è ben presto sbiadito insieme al clamore
stagionale che lo impose. Il fallimento precoce, non tanto di una generazione,
quanto del suo momento di irripetibile gloria, era, come scrive Douglas
Coupland, “una sensazione di tenebra, ineluttabilità e incanto, una sensazione
sicuramente provata da moltissimi giovani fin dagli albori del tempo
nell’alzare la testa per guardare verso il cielo e vederlo spegnersi”. Quella tensione, quell’angoscia, sarà
riassunta in modo più efficace dal riff urticante di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana, un urlo che rimarrà lì per
sempre, come un inno. La Generazione X, compressa nel presagio di un futuro grigio e monotono, non molto
diverso dal suo presente, aveva perso “la capacità di prendere le cose per
quello che erano”, e vagava nel vuoto. I
suoi limiti congeniti sono tutti lì eppure Douglas Coupland aveva
annusato la forma verbosa (più che verbale) del futuro che stava arrivando: è
il 1991, l’inizio della fine del secolo, si respira la tensione della
trasformazione e “nell’era elettrica abbiamo come pelle l’intera umanità” come
aveva scritto per tempo Marshall McLuhan. Si spiega così il senso di nostalgia
latente e paradossale che si sviluppa in Generazione X: non solo perché “la nostalgia è un’arma” come
recita uno degli slogan a margine, ma perché i suoi personaggi la provano anche
per qualcosa che non hanno vissuto ed è infatti avanti al memoriale monumento
dei caduti in Vietnam, la Generazione X capirà di non aver avuto storia. Proprio quell’anno, sarà
un’altra guerra, Desert Storm, la prima in Iraq, che trasformerà il villaggio
globale per sempre e, a saldo dei luoghi comuni e dei sequel, non altrettanto
fortunati, invecchiando Generazione X rimane una cartolina coerente di un universo destinato in eterno
alla relatività, per sua stessa ammissione: “Vedete, quando si appartiene al
ceto medio, bisogna vivere con la consapevolezza che si sarà ignorati dalla
storia. Bisogna vivere sapendo che la storia non patrocinerà mai le cause del
ceto medio, né mai gli concederà compassione. E’ il prezzo da pagare per le
comodità e il silenzio quotidiano. E per colpa di questo prezzo, ogni gioia è
sterile, e le tristezze non trovano conforto”. Adesso persino il “pensiero
minore” della Generazione X
(“Ormai non mi interessa più il successo o diventare un pezzo grosso. Voglio
solo trovare la felicità, e magari aprire una piccola tavola calda tutta mia
nell’Idaho”) o il “mcjob” (“Impiego a paga irrisoria, basso prestigio, bassa
dignità, bassa realizzazione e senza futuro, in genere nel settore dei servizi.
Considerato una scelta professionale soddisfacente da persone che non ne hanno
avute mai”) appaiono come segnali che arrivano da stelle ormai morte.
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