lunedì 9 febbraio 2015

Douglas Coupland

Allora, Generazione X era apparso come una visionaria proiezione del futuro. Oggi, sembra quasi un reperto preistorico. Rimane un’istantanea di un peculiare segmento storico, utile a capire come si evolvono forme di gergo e di linguaggio, e non è del tutto illogico provare ancora a cercargli una giusta posizione. Pur con una sua specifica valenza, per quanto frammentaria (e, a tratti, anche divertente), essendo un quadro impressionistico, Generazione X si è ben presto sbiadito insieme al clamore stagionale che lo impose. Il fallimento precoce, non tanto di una generazione, quanto del suo momento di irripetibile gloria, era, come scrive Douglas Coupland, “una sensazione di tenebra, ineluttabilità e incanto, una sensazione sicuramente provata da moltissimi giovani fin dagli albori del tempo nell’alzare la testa per guardare verso il cielo e vederlo spegnersi”.  Quella tensione, quell’angoscia, sarà riassunta in modo più efficace dal riff urticante di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana, un urlo che rimarrà lì per sempre, come un inno. La Generazione X, compressa nel presagio di un futuro grigio e monotono, non molto diverso dal suo presente, aveva perso “la capacità di prendere le cose per quello che erano”, e vagava nel vuoto. I  suoi limiti congeniti sono tutti lì eppure Douglas Coupland aveva annusato la forma verbosa (più che verbale) del futuro che stava arrivando: è il 1991, l’inizio della fine del secolo, si respira la tensione della trasformazione e “nell’era elettrica abbiamo come pelle l’intera umanità” come aveva scritto per tempo Marshall McLuhan. Si spiega così il senso di nostalgia latente e paradossale che si sviluppa in Generazione X: non solo perché “la nostalgia è un’arma” come recita uno degli slogan a margine, ma perché i suoi personaggi la provano anche per qualcosa che non hanno vissuto ed è infatti avanti al memoriale monumento dei caduti in Vietnam, la Generazione X capirà di non aver avuto storia. Proprio quell’anno, sarà un’altra guerra, Desert Storm, la prima in Iraq, che trasformerà il villaggio globale per sempre e, a saldo dei luoghi comuni e dei sequel, non altrettanto fortunati, invecchiando Generazione X rimane una cartolina coerente di un universo destinato in eterno alla relatività, per sua stessa ammissione: “Vedete, quando si appartiene al ceto medio, bisogna vivere con la consapevolezza che si sarà ignorati dalla storia. Bisogna vivere sapendo che la storia non patrocinerà mai le cause del ceto medio, né mai gli concederà compassione. E’ il prezzo da pagare per le comodità e il silenzio quotidiano. E per colpa di questo prezzo, ogni gioia è sterile, e le tristezze non trovano conforto”. Adesso persino il “pensiero minore” della Generazione X (“Ormai non mi interessa più il successo o diventare un pezzo grosso. Voglio solo trovare la felicità, e magari aprire una piccola tavola calda tutta mia nell’Idaho”) o il “mcjob” (“Impiego a paga irrisoria, basso prestigio, bassa dignità, bassa realizzazione e senza futuro, in genere nel settore dei servizi. Considerato una scelta professionale soddisfacente da persone che non ne hanno avute mai”) appaiono come segnali che arrivano da stelle ormai morte.

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