mercoledì 11 febbraio 2015

Tobias Wolff

E’ il 1965 e Guy Bishop lascia il suo lavoro alla Boeing. La sua versione è che “l’azienda stava lasciando a casa un po’ di gente”, ma la verità è che, nell’anno dell’esordio dell’operazione Rolling Thunder, l’escalation dei bombardamenti sul Vietnam, il lavoro nell’industria aeronautica proprio non mancava, anzi. Soltanto che Guy Bishop è un sasso che sta rotola senza direzione e si lascia alle spalle i figli, i due fratelli Philip e Keith. E’ il primo triangolo che si spezza nel racconto di Tobias Wolff, aprendo le porte a destini diversi: Keith scomparirà sulla strada verso San Francisco, mentre Philip resterà con la madre a soffrire, prima di arruolarsi nell’esercito. La frattura non potrebbe essere più evidente e nelle progressioni matematiche della narrativa di Tobias Wolff una nuova triangolazione si riproduce attorno a Philip. Durante l’addestramento incontra Hubbard e Lewis e con loro vive un momento di pura follia mentre montano la guardia a un deposito di munizioni. L’episodio è solo uno dei tanti a rivelare la sottile e non meno feroce critica nei confronti delle strutture militari a cui Tobias Wolff non sfugge dai tempi in cui prestava servizio Nell’esercito del faraone. Ecco, per esempio, come descrive una giornata al poligono: “Sagome a grandezza d’uomo si alzavano e si abbassavano mentre un battaglione di reclute sparava a raffica. I proiettili passavano fischiando sopra i fossati dove eravamo accalcati e alla fine del pomeriggio si capì che a vincere erano stati i bersagli”. Il segnale è eloquente, il disorientamento, totale: Il colpevole usa le diverse prospettive da cui inquadra la storia, soprattutto nella seconda parte, e il finale crepuscolare e malinconico, per mettere in risalto un coacervo di menzogne e barriere emotive, di coscienze confuse e di imposizioni gerarchiche, di rimpianti e di incomprensioni. Quando la caserma in cui è incastrato Philip viene punteggiata da strani furti notturni, Il colpevole diventerà l’ombra su sui saranno proiettate tutte le tensioni. Tutti sanno che è lì, che è uno di loro, che è solo una questione di tempo, e si scoprirà Il colpevole, ma proprio come fa con gli incastri tra i personaggi, che si sganciano uno dopo l’altro, qualcuno sparisce sempre, rendendo incomplete le sue figure geometriche, Tobias Wolff fa lo stesso con la storia in sé, lasciando che si dischiuda nel finale, quando tutti credono sia conclusa e coincida con il destino che aspetta Il colpevole, mentre diventano invece palesi i riti di passaggio, la scoperta della vita, la morte che incombe, le linee tracciate che si spezzano. E’ questo il metodo che Tobias Wolff usa con convinzione: la scrittura è sinuosa e insinuante, la tensione è sempre a livello di guardia e il ritmo incalzante, ma la prospettiva, all’inizio come alla fine, è spiazzante. Non c’è alcuna forma di consolazione, i personaggi svaniscono in una foschia di solitudine, le parole sono appena sufficienti a circoscrivere le emozioni, e la loro utilità e insieme la loro impotenza è tutta lì. Amaro, amarissimo. 

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