venerdì 28 dicembre 2012

Francis Scott Fitzgerald

Dopo aver vissuto per anni, tutta l’età del jazz, ben al di là delle proprie possibilità economiche creative ed emotive, Francis Scott Fitzgerald si trova a fronteggiare la battaglia finale con conti lasciati in sospeso per troppo tempo. La bolla alimentata con una vena di romantico abbandono si espande e si gonfia increspando la superficie, una scintillante evanescenza destinata a esplodere come ogni bolla che si rispetti. Francis Scott Fitzgerald mette un’ipoteca pesante sulla speranza di una seconda chance, e all’alba del 1936, le sue condizioni sono così descritte da Kyra Stromberg in Zelda e Francis Scott Fitzgerald: “Non ancora trentanovenne, è un uomo stanco, malato, sfinito. Scrivere racconti diventa una costrizione insopportabile. Si impone di lavorare, aiutato dalla sua mano felice. Gli argomenti dei suoi testi divengono artificiosi o casuali, addirittura anacronistici, la scrittura è affrettata. Per la prima volta gli vengono riproverate imprecisioni stilistiche, anche se Dorothy Parker gli riconosce che potrebbe anche scrivere cose brutte, ma queste non sarebbero mai scritte male”. Tutto quello che riesce a mettere insieme, con somma fatica, è la descrizione del suo fallimento. Non ha altri colpi da sparare e allora rende spettacolare e infinito, come un attore senza battute che non sa lasciare il palco, spiegando con Il crollo la forma dell’estremo limite umano, il confine finale visto che “l’impatto dell’ultimo colpo è stato più violento dei due precedenti, ma di natura identica: la sensazion di trovarsi al crepusclo in un poligono di tiro deserto, con un fucile scarico in pugno e i bersagli abbattuti. Nessun problema in vista: semplicemente un silenzio, e come unico rumore il mio respiro”. La micidiale convergenza di malattia, disillusione (“La condizione dell’adulto senziente è una condizione di infelicità circoscritta”), stanchezza e solitudine lo porta a paragonarsi a una stoviglia inutilizzabile, dato che “quello che aveva davanti non era il piatto ordinato per i suoi quarant’anni. In realtà, dato che lui e il piatto erano una cosa sola, si è descritto come un piatto crepato, di quelli che non sai se valga o no la pena conservare”. Il crollo non fa che certificare l’impossibilità di una via d’uscita: “attenzione, fragile” è la dicitura che, nel marzo 1936, inaugura la parte finale ed è un grido accorato, sentito, scomodo, lancinante, vero, e ossessivo. E’ la confessione di un fallimento a più strati che scalfisce anche la natura più intima dello scrittore che “non ha bisogno di certi ideali, a meno di non crearseli da solo, e il qui presente ha smesso”. Anche se sta lavorando a Gli ultimi fuochi, uscito ormai postumo, Il crollo sarà il suo epitaffio, accolto con costernazione anche dagli amici più vicini come Hemingway e John Dos Passos. Zelda, la Costa Azzurra, le canzoni di Cole Porter sono lontani ricordi ormai offuscati da “troppe lacrime, troppa rabbia” e per dirlo con Walt Whitman, Francis Scott Fitzgerald si trova in un angolo dove “il luogo è augusto, le circostanze avverse”. 

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