mercoledì 6 maggio 2015

Kent Haruf

La cronaca della morte annunciata di Dad, un uomo che ha respirato “prateria, vento e polvere” in una vita dedicata al lavoro e alla famiglia comincia seguendo i ritmi tiepidi, sonnolenti, desertici dell'heartland americano. L'unico sbalzo, nelle pagine iniziali di Benedizione (molto vicine alla perfezione) è solo un malore che coglie Mary, la moglie. Niente di grave: una volta ricoverata “non trovarono nulla di anomalo, salvo che era vecchia, lavorava troppo e occuparsi da sola del marito l'aveva sfinita”. Ogni frase di Kent Haruf circoscrive un momento, un'area, un pensiero nel mettere in scena, proprio con una prospettiva teatrale, “la preziosa normalità”. La sua ricostruzione è intensa nell'individuare i dettagli e nello stesso tempo lancinante e commovente nel seguire le tracce invisibili dei legami prima e delle odisse di ogni singolo personaggio poi, con “i piccoli drammi, le loro abitudini”. Cosa c'è di strano nella vita Mary e Dad l'hanno scoperto insieme nell'alveo di un matrimonio lungo mezzo secolo. Cosa può rivelare il lungo crepuscolo e l'inevitabile fine appartiene alla mappa dei ricordi, dei rimpianti, delle promesse mantenute e di quelle mancate. Quando la storia di Clayton irrompe senza preavviso Benedizione tracima, lasciando scorrere le storie di sotterfugi, tradimenti, riconciliazioni e facendosi permeare dalla realtà della guerra del ventunesimo secolo, dalla discriminazione, dalla sofferenza. Clayton era un commesso nel negozio di ferramenta di Dad. Scoperto a rubare, viene allontanato senza appello dallo stesso Dad perché il suo gesto, le sue inutili e tardive rimostranze lo fanno “dubitare di tutto il dannatissimo genere umano. E non è così che la voglio pensare”. Altre vicende si sovrappongono e si sviluppano in parallelo e in perpendicolare al tema centrale di Dad e Mary (la lunga e dolente parentesi del reverendo Lyle Wesley, della sua famiglia e della sua chiesa) e Kent Haruf lima le pagine parola per parola: i dialoghi appaiono ruvidi, persino monchi, quasi segmenti di linguaggio in domande e risposte di poche sillabe. Non facile. Non comodo. Per capire il paesaggio letterario (e non solo) di Benedizione serve quella definizione, eccezionale, di Sherwood Anderson nei Canti del Mid-America: “C'è una storia che gli uomini non possono raccontare, donne stanche la raccontano, uomini stanchi la raccontano, echi di storie rimbombano nelle sale delle anime, narrano di fantasmi alla porta della cucina, fiochi laggiù nell'oscurità”. La frugalità della scrittura di Kent Haruf sembra ricordare la necessità di risparmiare i “giorni felici” di Schopenauer, quasi di rallentare, se non proprio di fermarsi, per vedere, per ricordare, per carpire ancora una volta “la gentilezza e la dolcezza reciproche tra le persone. Lo scorrere lento del tempo in una notte d'estate. La vita normale”. Anche se non è quella la Benedizione, che è sempre ambivalente. La Benedizione è la pioggia, verticale, inevitabile come la morte e la vita, e nello stesso modo a doppio taglio, perché sulla pianura orizzontale qualcuno sta mietendo e qualcuno sta aspettando, la fine, l'inizio. Un romanzo duro, aspro, acuto. Straordinario.

3 commenti:

  1. Sto leggendo il libro. Straordinario veramente. E ieri sera, riprendendolo, a pagina 117 o giù di lì, mi annotavo questo pensiero "mente leggo sento che questo ,ibro mi sta aiutando. non a qualcosa di specifico. al tutto. ed è una sensazione bellissima".
    sono emanuela . ci ha presnetato gianni zuretti allo spazio teatro 89 un paio di settimane fa.

    RispondiElimina
  2. Sono contento Manu, a questo punto devi leggere il secondo romanzo della trilogia. Allora servo a qualcosa! È comunque Marco non teme rivali sulla letteratura anglo americana!

    RispondiElimina
  3. Grazie a Manuela e al maestro che è troppo buono e giusto.

    RispondiElimina