giovedì 28 maggio 2015

Bernard Malamud

Quella di Bernard Malamud è una percezione molto raffinata e nello stesso tempo umanissima della letteratura, introdotta come “una benedizione capace di sanguinare come una ferita”. Dal punto di vista dello scrittore, così come sull'altra riva del fiume, dove è seduto il lettore, il tema è lo stesso perché, “raccontare storie è un modo per trovare, passo dopo passo, il significato della vita. E' una possibilità per immergere la punta delle dita nel mare dell'esperienza e portare a galla la sostanza, portare su la scrittura, nascosta, per poter raccontare quello che hai fatto e quello che ti senti di dover dire”. Per me non esiste altro è una felice antologia di riflessioni che, nonostante la forma frammentaria e spicciola rende evidente una coerenza che non si improvvisa, un'aderenza a quei valori, letterari (e non), che impongono “uno sviluppo estetico e morale, dove estetica e morale diventano una cosa unica”. Un'opera d'arte è “una collezione di probabilità” e Bernard Malamud assegna quattro punti cardinali molto solidi per riconoscere le fonti primordiali: “rabbia, disgusto, amore, comprensione” sono le direzioni ineludibili da cui si dipanano le sue coordinate letterarie perché poi “un artista scrive una tragedia perché la gente si ricordi che è umana. Ci mostra condizioni reali. Struttura per noi il significato della nostra vita, in modo che ci balzi chiaro agli occhi”. La trasmissione dell'intima conoscenza della scrittura è, in assoluto, la più costruttiva, ideale e nello stesso tempo realistica che si possa immaginare, anche tenendo che “per essere realisti serve immaginazione”. Lo scintillante paradosso di Bernard Malamud, cinque parole per condensare il senso di una visione artistica, non nasconde le esigenze più intime della scrittura in sé. Quando dice Per me non esiste altro, Bernard Malamud non evoca nessuna immagine romantica dello scrittore, né quella estatica né quella sofferente perché la sua attitudine è quella lineare, semplice, diretta di chi sa bene che “scrivere, lavorare da soli per creare storie, comporta molti inconvenienti, ma è decisamente un buon modo per vivere la solitudine”. Non c'è un altro modo ed è l'unico imperativo, o meglio, un'accorata raccomandazione a rivelare l'idea definitiva, il profilo in alto rilievo dello scrittore secondo Bernard Malamud. Il suo compito è descritto in modo essenziale, lapidario: “Lo scrittore deve affrontare il fatto che entra in una stanza, e che è meglio che vada in quella stanza, è meglio che chiuda quella porta, è meglio che stia lì dentro ed è meglio che scriva, e, qualsiasi cosa succeda, non parli mai con nessuno”. Bernard Malamud si concede invece con generosità, spiegando la funzione del romanzo e le possibilità del racconto, le necessità della trama e quelle dei personaggi, ed è una fonte più che autorevole avendo speso un'intera vita per comprendere che “un'opera d'arte non è mai finita, ma a un certo punto dev'essere semplicemente abbandonata”. C'è molto di più in Per me non esiste altro, persino i segreti del lettore, oltre a quelli dello scrittore, anche se poi è sempre lì, per forza, che Bernard Malamud ritorna e ritorna perché “la scrittura è una cosa così fragile, ed è strettamente legata alla capacità di continuare a mantenere vive delle illusioni”. Un piccolo libro, una grande lezione.

Nessun commento:

Posta un commento