Sporting
Club è
il rocambolesco esordio di Thomas McGuane (e risale a 1968) e magari
non c’è ancora la raffinatezza con cui, altri anni e altri romanzi
dopo, riuscirà a trasformare il sarcasmo in ironia, raggiungendo un
raro equilibrio tra la grazia della scrittura e un sottile e
acutissimo tono di polemica. Nella sua essenza, però, Sporting
Club contiene
già, per quanto acerbi e squilibrati, tutti gli elementi che
distingueranno la sua narrativa, a partire dal racconto di una
“borghesia” non molto illuminata, “uomini senza opinioni,
colori genuini, ambizioni ingombranti e sogni ad alta velocità”
per dirla con le sue parole. Attraverso le loro gesta, Thomas McGuane
spinge sulle pagine di Sporting
Club un
ritratto decadente della società americana nei primi anni della
seconda metà del ventesimo secolo che nelle sue linee generali è
ancora molto attuale. L’occasione è data da un triangolo di amici,
amanti ed equivoci che si articola tra le mura di uno “sporting
club” che è la parodia, anche piuttosto feroce di tutti i “country
club”, come espressione di ogni circolo chiuso ed esclusivo. Va da
sé che lo Sporting Club di Thomas McGuane è del tutto particolare
nel sintetizzare i tic e i luoghi comuni di quella che dovrebbe
essere l’élite di una nazione, o magari soltanto di una città e
invece si svela come una tribù deforme, bizzarra e autoreferente.
Allo Sporting
Club l’hobby
preferito non è né la caccia al gallo cedrone né la pesca alla
trota, ma il complotto, gli uni contro gli altri. Nei momenti
lasciati liberi dalle congiure “bevono un sacco. Parlano del
passato. A volte è commovente, in genere molto noioso. Il peggio
viene quando cantano”. Fuoriclasse, in questo genere di attività,
è Vernor Stanton, figlio di papà dalla natura psicotica, uno che
ammette con un certo candore: “Non mi sto giocando niente. Sono
in vacanza”.
Ordire trame, sberleffi, duelli e spargere zizzania con un ghigno
satanico stampato in faccia è la sua unica occupazione quotidiana e
si scontra con l’amico James Quinn che invece un lavoro ce l’ha
(più o meno) da qualche parte. Gli eventi precipitano in una serie
di circostanze catastrofiche (dall’esplosione di una diga ad
amplessi multipli open air) con risvolti imprevedibili, spesso venati
da una surreale tinteggiatura psichedelica. Ciò non toglie nulla
all’affilata ricostruzione di Thomas McGuane che non concede
scappatoie ai suoi personaggi. Un po’ perché “la vita è vorace,
e non c’è scampo”, un po’ perché “la storia non ha rispetto
per il singolo individuo” gli affiliati allo Sporting
Club finiscono
su un’ipotetica gogna e, giunti nudi alla meta, rivelano tutta la
precarietà morale delle frustrazioni e delle idiosincrasie del
potere e dei potenti (perché di quello si sta parlando). Un minimo
di giustizia trova il suo corso, almeno nelle pieghe di un romanzo.
Sarà anche innocua, ma basta ad avvalorare il proposito di Thomas
McGuane che, con la voce di uno dei personaggi di Sporting
Club,
semplifica così l’essenza di quei circoli impermeabili e
accidiosi: “tuttavia, dimostrando un insperato buon senso, la gente
costruisce le bombe che si merita, e fino a quando continueranno a
usarle, io li tratterò come le merde che sono”. Il romanzo è
esuberante e caotico, l’idea di fondo era e resta perfetta.
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