“Mick in una stanza con la mascella ciondolante. La bocca fa i gargarismi e sputa, lecca un cono gelato. E il pezzo di filmato è vibrato in rosso, corpi bioluminescenti, proprio quello che tutti amiamo del rock'n'roll, pensò Klara, l'aureola di luce di una morte superiore”: mettete un segnalibro sull’immagine fluttuante raccontata da Don DeLillo nel cuore di Underworld, ma prima di tutto, tenete d'occhio la palla. E' un fuoricampo del 1951: storico, per la vittoria dei Giants e perché nello stesso momento i sovietici facevano esplodere un ordigno atomico, mettendo a repentaglio la supremazia americana negli armamenti nucleari e inaugurando l'era della guerra fredda, della bomba, della paura e della caccia alle streghe. La palla vincente diventa un feticcio che viaggia da un capo all'altro del paese, inseguita da una folla di personaggi che attraverso le loro vite tratteggiano a tinte forti la cognizione e la percezione di mezzo secolo di storia americana. E' subito spontaneo un parallelo con Pastorale americana di Philip Roth che ripercorre, su scala familiare, lo stesso periodo, ma i personaggi di Don DeLillo sono più tremendamente soli con le loro incognite. C'è chi dipinge resti dei bombardieri B-52, chi cerca di eliminare rifiuti pericolosi per poi vederseli costantemente tra i piedi, chi lavora nelle basi segrete attorno ad Alamagordo, chi viene sfiorato dall'alone di Lenny Bruce o di Frank Sinatra. Tutti inquadrati da Don DeLillo attraverso i piccoli gesti quotidiani delle loro esistenze che danno il ritmo ad Underworld rendendo il tempo, la storia i veri protagonisti anche se, come scrive lo stesso DonDeLillo "in ultima istanza, noi non dipendiamo dal tempo. C'è un equilibrio, una specie di contrappeso tra la continuità del tempo e l'entità umana, il nostro fragile castello di soma e psiche. Alla fine noi soccombiamo al tempo, è vero, ma il tempo dipende da noi". In queste quattro righe c'è l'essenza di Underworld, romanzo che sembra riunire in un solo, voluminoso (sono ottocento pagine) delirio tutti i temi cari a Don DeLillo: i lati oscuri del rock'n'roll di Great Jones Street (il vero, unico, fondamentale testo sul rock'n'roll), le paranoie della società moderna di Rumore bianco e Mao II, il feticismo di Cane che corre e le presenze inquietanti di servizi segreti e altri grandi fratelli in Libra, I nomi e I giocatori. Il tutto centellinato con una scrittura esigente, sì, con il lettore, ma che offre una percezione della realtà e in ultima analisi del mondo in cui viviamo come nessun altro scrittore o qualsivoglia mezzo di comunicazione ha mai provato a fare. Tanto che dopo la lettura, anche soltanto di una buona metà di Underworld, capita, come ai personaggi di Don DeLillo, “vedere cose strane in una stradina secondaria in una sera piovosa, e ci si chiede come mai sembrino significative”. Per semplificare, Underworld alza la soglia dell'attenzione e porta il lettore a vedere dentro la storia, il tempo, i fatti allenandolo, pagina per pagina, ad approfondire la sua osservazione. Per questo non bisogna mai perdere di vista la palla. Ah, e per chi fosse stato appena appena sfiorato dal dubbio, Mick è Mick Jagger e nella grande odissea americana dal 1951 agli anni Novanta, a rappresentare la prima metà degli anni Settanta (il breve capitolo centrale di Underworld) ci sono proprio loro, i Rolling Stones di Cocksucker Blues. Gli unici, veri ed eterni principi dell’Underworld. Capolavoro.
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