mercoledì 7 giugno 2023

Ian Zack

Per anni, la sua unica opportunità è stata la strada, e cantava: “A nessuno importa di me, perché sto nel buio e non posso vedere”. Eppure attorno al reverendo Gary Davis si è sviluppato tutto un popolo, come se fosse il catalizzatore di un tempo e di una dimensione storica e culturale. La ricostruzione di Ian Zack vede il reverendo Gary Davis proprio nel cuore di una galassia in cui ruotano gli allievi che pagavano cinque dollari per guardarlo suonare (Roy Book Binder, Rory Block, Woody Mann, Ry Cooder) e il movimento folk del Village tra gli anni cinquanta e sessanta con musicisti (Izzy Young, Eric Von Schmidt, Harry Chapin e, naturalmente, Bob Dylan) e musiciste (Maria Muldaur, Barbara Dane, Janis Ian, Elizabeth Cotten). Tanta attenzione perché, suonando la chitarra alla stregua di un pianoforte, ha espanso le possibilità dello strumento, come riportava Alex Shoumatoff: “Certe volte suonava solo con la mano sinistra, su e giù per il manico mentre schioccava le dita della destra o le sbatteva sulla cassa. Mugolando, urlando, guaendo”. Sempre in bilico tra sacro (spiritual, gospel) e profano (folk, blues) il reverendo Gary Davis ha segnato a fondo la storia della musica del ventesimo secolo ed è anche insolito, da un punto di vista, perché come puntualizza Ian Zack, non ha mai fatto nulla per apparire o per emergere. Diceva a Stefan Grossman, il più assiduo tra i suoi discepoli: “Non serve a nulla offrirsi a qualcuno. Se ti vogliono, ti cercheranno. Puoi trovare un sacco di cuccioli, sai. Appartengono tutti allo stesso cane, ma quando ne guardi uno puoi capire quello che sarà dominante. Puoi scegliere quello. Puoi vedere in lui qualcosa che non vedi nel resto. Non vai tu a offrirti alla gente. Sono loro che faranno l’offerta”. Il suo modus operandi era tanto semplice quanto costante: “Canto canzoni cristiane, cerco di portare un po’ di luce nella mente delle persone su quel che dovremmo fare, come dovremmo vivere. Prima una canzone, poi un’altra”. La conferma viene da una testimonianza lirica di Harry Chapin che lo ritraeva così: “Il vecchio era lì davanti alla vetrina, con il bastone bianco appeso alla cintura. E piegava l’acciaio delle corde della sua chitarra, che sembrava dovesse fondersi. Era l’ultimo dei cantanti all’angolo della strada, facendo il suo dovere negli ultimi anni, la sua voce di gola era come il gracidio di un rospo, ma è lui che ha inventato il blues”. Dopo una vita di una vita di sussidi e di precarietà, violenze e privazioni, dal quartiere di Hayti, Durham, North Carolina approda a New York finché, nel gennaio 1950, l’apparizione al memorial per Leadbelly, si rivela quasi un passaggio del testimone nel quale vengono coinvolti Sonny Terry & Brownie McGhee, Mississippi John Hurt, Son House, Bukka White, Skip James riscoperti e celebrati perché come diceva Dylan: “un po’ della loro vita ti restava attaccata”. Ian Zack ripercorre con scrupolo passaggio passaggio e se la sua storia si può condensare in una frase, (“Sono armato e canterò le mie canzoni”), ogni pagina è fitta di notizie, aneddoti e riferimenti, compresa l’evoluzione dell’industria discografica in quel periodo cruciale. Grazie al primo album di Peter, Paul & Mary, che porterà al successo If I Had My Way, il reverendo Gary Davis si ritrova in condizioni migliori e riesce ad abbandonare la strada. È quando “la canzone funziona”, ed è curioso che la svolta psichedelica, intorno al 1967, sia stata un colpo durissimo per tutti, mentre i Grateful Dead, attraverso Bob Weir, un altro allievo del reverendo, riprendevano le sue canzoni trasformandole, come è noto, in lunghe jam. Buon ultimo sarebbe arrivato Jackson Browne che credeva di avere imparato Cocaine da Dave Van Ronk. La canzone ha una storia lunghissima, ma l’elenco delle versioni seguite alla seminale rivisitazione del reverendo Gary Davis comprende Townes Van Zandt, Davey Graham, Ramblin’ Jack Elliott, Nick Drake, John Martyn, Richard Fariña, Hoyt Axton. C’è solo l’imbarazzo della scelta e la sua non è soltanto una biografia, è tutto un milieu che prende forma, unico e irripetibile, dove la musica e la chitarra sono il centro dell’universo.

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